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Addio a Totò Schillaci, l’eroe a sorpresa delle Notti magiche di Italia ’90 aveva 59 anni

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Il calcio e l’Italia piangono Salvatore Schillaci. L’ex calciatore si è spento all’ospedale Civico di Palermo dov’era ricoverato. Dopo giorni in cui ha tenuto un’intera Nazione con il fiato sospeso, tra bollettini altalenanti, il tumore al colon, per cui era già stato operato due volte, gli è stato fatale.

Lascia tre figli, Jessica, Mattia e Nicole. La camera ardente potrebbe essere allestita nello stadio Renzo Barbera del Palermo. Un’icona nazionale che nelle Notti magiche di Italia ’90 ha saputo conquistare tutti. Se dici Schillaci, dici Mondiali. Un binomio inscindibile che ha unito un Paese intero. Nato a Palermo il 1° dicembre 1964, Salvatore Schillaci, per tutti Totò, calcisticamente cresce sui campi del quartiere popolare di San Giovanni Apostolo e nelle giovanili dell’AMAT Palermo, poi nel 1982 si trasferisce al Messina.

Da qui, dopo tanta gavetta e due promozioni dalla C2 alla B, inizia la sua scalata al grande calcio. Un’escalation che nel 1989 lo porta alla Juve, nel 1990 alla Nazionale e poi nel 1992 all’Inter e infine nel 1994 al Júbilo Iwata in Giappone. In Italia Totò ha collezionato complessivamente 120 presenze e 37 reti in Serie A e 105 presenze e 39 reti in Serie B, ma sono i suoi gol e i suoi sguardi con la maglia azzurra a Italia ’90 che l’hanno reso celebre e indimenticabile.


Gli anni ’80 erano al tramonto. In una domenica di fine agosto del 1989 un siciliano nemmeno troppo giovane, andava verso i 26 anni, viene fatto debuttare da Dino Zoff in Serie A. La maglia è quella della Juventus e l’avversaria è il Bologna. Finisce 1-1. Salvatore Schillaci realizza un sogno che sembrava impossibile e che da lì a qualche mese si moltiplicherà cambiandogli la vita e consegnandolo all’eternità calcistica.

Sono tanti, troppi, i fotogrammi di una vita incredibile, finita comunque troppo presto. Il rapporto straordinario con un altro grandissimo personaggio, il professor Scoglio, amante di tattica ma non abbastanza da costringere Totò dentro schemi prestabiliti (“Organizzo gli altri dieci, lui deve solo correre dietro la palla”) nel suo storico Messina. Ovvio che non potesse trovarsi troppo bene con Zeman, che comunque gli permise di segnare 23 gol nel campionato di Serie B. Le reti che convinsero Boniperti a portarlo alla Juve. Nella prima stagione in A furono 15 in campionato, nell’anno in cui i bianconeri si portarono a casa Coppa Italia e Uefa.

Abbastanza da convincere Vicini a convocarlo per il Mondiale casalingo del 1990. Lui va in panchina al debutto con l’Austria in mezzo a un Olimpico di Roma vestito a festa. Entra al posto di Carnevale e segna il gol decisivo subito dopo aver messo piede in campo. E a tutti noi che scattiamo in piedi dal divano arriva chiaro in testa il pensiero di come il calcio sappia diventare una favola. Da lì per Salvatore Schillaci, detto Totò, la vita assomiglia a un luna park. La gente assedia la sua casa di Palermo, con i parenti che escono sul balcone acclamati come eroi. E lui non si ferma più. Sei gol e capocannoniere a Italia ’90, gli occhi sgranati diventati simbolo di un Mondiale, la sua freschezza e innocenza che conquistano un’intera Nazione.

Gli altri anni con la Juve, il passaggio all’Inter, i gol-vendetta ai bianconeri indossando la maglia nerazzurra, il finale di carriera in Giappone, dove diventa un idolo anche in un mondo così lontano dal nostro. Lui sa adattarsi a tutto. Anche a una vita a cento all’ora, con due matrimoni, un incarico politico, la gestione nella sua Palermo di un centro sportivo per ragazzi, la partecipazione all’Isola dei famosi e a Pechino Express, oltre a qualche cameo al cinema. Prima che un male incurabile ce lo portasse via insieme alla nostra giovinezza. Nessuna retorica nel pensiero che quegli occhi sgranati rimarranno sempre nel cuore di un’intera generazione.

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