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Le armi, la guerra, la politica, dalla Terra al PD

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Marsala – Vorrei vivere in un mondo in cui le armi fossero un tabù. Abolite da tempo. Non si tratta di favolistica chimera infantile. Sono fermamente convinta che un genere umano che calca questo pianeta contandone gli anni e segnando l’inizio di un’era “nuova” giunta all’anno domini 2022 potrebbe benissimo aver abolito ogni oggetto atto a compiere barbarie, soverchierie e prepotenze. Un oggetto che può far male anche a chi lo impugna.

Un genere umano intelligente, oggi, osservando se stesso e il mondo in cui si trova con un minimo di metacognizione raccoglierebbe tutti gli oggetti di morte e li metterebbe via, per sempre. E invece sentiamo l’ennesimo omicidio di un uomo disarmato crivellato di colpi. Uomo, prima che afroamericano.

Tutto questo in America, mentre in Ucraina continua una guerra che ha superato i cento giorni. Un conflitto in cui le armi sono state il dirimente, la ragione del contendere, la causale di molte delle trattazioni sul tema. Lo scenario che tutti abbiamo visto tra vecchi e nuovi media è di devastazione, macerie e cenere.

Le armi da fuoco questo fanno: bruciano. Intervengono dove mancano le parole. Si spara quando non si sa parlare. Si ferisce, si uccide quando non si sa comunicare in altro modo e allora si sceglie di sopprimere il proprio interlocutore. E mentre gli uomini senza lingua, ma con messaggi di fuoco e di morte, non provano neanche più a parlare, la Terra urla l’ennesimo nostro fallimento e anche lei – suo malgrado – uccide.

Mi riferisco alla valanga sulla Marmolada, ai morti e ai feriti a causa dell’innalzamento delle temperature, provocato dalla questione climatica che continua a non essere affrontata seriamente. In questo scenario desolante la politica che fa? Si pone il problema della leadership. Sia a livello macrosociale che locale.

Così Draghi incontra Conte e si misura la tenuta del Governo e l’eventuale tenuta della futura alleanza tra PD e M5S. E qui a Marsala nel PD imperversa la bufera, spaccature, “voci” più o meno note, veterani e nuovi illuminati che hanno ricette e soluzioni magiche per le sorti della politica a più livelli. Un dibattito a mio avviso noiosissimo, quando miope.

Si parla di governare che? Un pianeta che cade a pezzi? Una regione che sonnecchia ebbra di un arcaico passato di bellezza ma dove se da Trapani devi arrivare a Messina ti devi mettere il cuore in pace che ci starai cinque ore e farai la gincana tra gallerie degne della casa stregata del Luna Park (compresa la nostra che per metà è nell’assoluta oscurità), ponti “vertiginosi” e cantieri… tantissimi cantieri.

Una regione lontana da se stessa dove basterebbe una tratta aerea sociale tra il “V. Florio” e il “Fontanarossa” per renderci più vicini e invece siamo isole nell’isola.

Una città senza sogni e sempre con meno alberi, ma con un “trionfo di cemento” accanto allo Stadio. E in questo deserto si litiga per la leadership, senza una sola idea che sia nuova, che sia fresca, che sia egoisticamente altruista.

Io sogno un genere umano che sia egoisticamente intelligente e comprenda che si sta affannando per conquistare un cimitero dove ben presto si dominerà sulla polvere. A parlare dobbiamo imparare. Subito, sperando che non sia già troppo tardi.

Mio nonno, che era un venditore ambulante con la tessera del PCI noto per la sua simpatia contagiosa e le sue sortite originali, definiva le persone che non brillavano per intelligenza “armali parlanti”, perché si distinguevano dalle bestie solo perché sapevano parlare. Mio nonno manca da sei anni.

E nel frattempo siamo peggiorati.

Chiara Putaggio

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