Il festival di Sanremo rende omaggio in apertura di serata al presidente Mattarella che oggi ha giurato per il mandato bis. “Buon lavoro, presidente – ha detto Amadeus -, per esprimere la gratitudine e l’affetto che proviamo. Lei è stato un punto di riferimento e lo è stato anche oggi quando ha ricordato l’importanza della cultura, delle arti, del teatro, cinema e musica”. Poi il conduttore ha voluto offrire a Mattarella un ricordo musicale: “Lei nel 1978 alla Bussola di Viareggio con sua moglie e suo fratello Piersanti era tra i fortunati dell’ultimo leggendario concerto di Mina. E allora ecco ‘Grande grande grande’ che è quello che pensiamo di lei”.
E tutti in piedi al teatro Ariston per le vittime delle stragi di Capaci e Via d’Amelio. Mentre Amadeus elenca i loro nomi sul palco di Sanremo, a partire da quelli di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il pubblico si alza in piedi ad applaudire l’ingresso di Roberto Saviano, ospite del Festival per commemorare le vittime di mafia.
A trent’anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio, Roberto Saviano è sul palco dell’Ariston per “ricordare, ma ricordare – dice – non è un atto passivo, viene da ‘re-cordari’, rimettere nel cuore, non vuol dire provare nostalgia per Falcone e Borsellino, ma rimetterli in vita sentendoli battere in noi”.
“Molti di noi – dice lo scrittore – ancora non c’erano, eppure la loro storia è parte della nostra memoria collettiva, per tutti noi sono simboli di coraggio, che è sempre una scelta, di fronte alla necessità di cambiare le cose si può scegliere o lasciar perdere, ma non scegliere è rendersi complice”.
La loro storia “è la storia di chi sceglie pur sapendo di rischiare”, sottolinea ancora Saviano, citando gli esempi di Chinnici, Terranova, Saetta, Costa, Giacomelli, Livatino, “uomini e donne di giustizia finiti sotto i colpi delle mafie”.
Falcone e Borsellino oggi “celebrati come eroi”, subirono la delegittimazione, “furono accusati di spettacolarizzare il loro lavoro, di Falcone si arrivò a dire che la borsa con 58 candelotti all’Addaura se l’era messo da solo: non c’erano i social ma c’erano gli haters”, ricorda lo scrittore, e quel fango “li aveva isolati e resi facili obiettivi, ma non è riuscito a sporcare il loro esempio”.
Ricorda poi la storia di Rita Atria, che a 17 anni divenne la prima testimone di giustizia d’Italia grazie all’aiuto di Paolo Borsellino e che si tolse la vita dopo la morte del giudice, ma “la sua testimonianza portò alla condanna di molti mafiosi. Il coraggio dei testimoni di giustizia è di chi sa che cambierà la propria vita e di quelli accanto a sé”.
“La neutralità – punta il dito Saviano – non ci tiene in sicurezza, ci costringe a rinunciare alla libertà, alla dignità, al diritto di ricercare la felicità. Il silenzio favorisce le mafie e lascia solo chi le contrasta”, ma Falcone e Borsellino e Rita Atria “sono semi che sono germogliati, semi che possono diventare radici”. Il monologo dello scrittore – che dal 12 febbraio condurrà su Rai3 Insider – si chiude con un brano di un tema di Rita Atria: “Se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo”.