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Modalitá di rientro anno scolastico 2020-21 e contestazione delle soluzioni per la sua riapertura

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Riceviamo e pubblichiamo

Spett.le DIRIGENTE SCOLASTICO
MIUR - UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE

Ill.mo PRESIDENTE REGIONE SICILIANA
ON. NELLO MUSUMECI

Ill.mo MINISTRO DELL’ISTRUZIONE
ON. LUCIA AZZOLINA

Ill.mo MINISTRO DELL’ISTRUZIONE UNIVERSITARIA
ON. GAETANO MANFREDI

Ill.mo MINISTRO DELLA SALUTE
ON. ROBERTO SPERANZA

OGGETTO: MODALITÁ DI RIENTRO ANNO SCOLASTICO 2020-2021 E CONTESTAZIONE DELLE SOLUZIONI PER LA SUA RIAPERTURA

Egregio Dirigente scolastico, nelle ultime settimane abbiamo assistito con grande apprensione al continuo susseguirsi di ipotesi riguardanti le modalità di ripresa dell’attività scolastica a settembre (mantenimento della didattica a distanza – c.d. DaD; ricorso alla DaD in forma mista, con studenti che alternerebbero la didattica in presenza con quella a distanza al fine di evitare assembramenti nelle aule scolastiche, etc.).

In data 28.5.2020 il Comitato Tecnico Scientifico (CTS) nominato dal Governo ha reso noto il documento dallo stesso approvato riportante le “Modalità di ripresa delle attività didattiche dal prossimo anno scolastico” che, pur risultando in alcune sue parti condivisibile, non lo è in modo categorico in altre.

Il Ministro dell’Istruzione On. Lucia Azzolina ha già dichiarato che a settembre gli studenti potranno “rientrare tra i banchi” seguendo le indicazioni elaborate dal suddetto CTS, confermando quindi i timori dei Genitori e dei lavoratori della Scuola circa la volontà delle Istituzioni di proseguire almeno in parte con la DaD sulla errata convinzione che la stessa sia  un grande successo, e rendendo obbligatorio l’uso a scuola dei dispositivi di protezione individuale per tutti gli studenti di età superiore ai 6 anni, oltre che al personale, docente e non.

Il Decreto Legge 8.04.2020 n. 22 convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, Legge 6.06.2020 n. 41, c.d. Decreto Scuola, non muta sostanzialmente le prescrizioni del CTS ed implicitamente le recepisce, pur a fronte di un quadro epidemiologico progressivamente più favorevole.

Il Decreto Legge 19.05.2020 n. 34, all’art. 231, comma 5°, c.d. Decreto Rilancio, dispone che siano le istituzioni scolastiche ed educative per il tramite del Dirigente scolastico a provvedere entro il 30.09.2020 alla realizzazione degli interventi all’interno di ogni singolo istituto volti ad adeguare le misure specifiche per lo svolgimento dell’attività didattica in conseguenza dell’emergenza Covid.

In particolare, l’allegato 2, lett. B della Nota del Ministero dell’Istruzione emanata in pari data attribuisce alla discrezionalità del singolo Dirigente scolastico dell’istituto l’applicazione delle misure più idonee in materia di sicurezza per gli alunni e per il personale assumendosene conseguentemente la relativa responsabilità, trattandosi in specie di determina non soggetta al preventivo vaglio dell’organo collegiale (Consiglio d’Istituto).

Il Decreto Ministeriale 26.06.2020 ribadisce che “il distanziamento fisico rimane un punto di primaria importanza nelle azioni di prevenzione…” pur a fronte di un quadro epidemiologico sempre più favorevole.

Le suddette linee guida precisano che la responsabilità è dei livelli decentrati dell’istruzione, seppur con dizione oltremodo generica e gravatoria:

“pertanto in questo contesto resta ferma l’opportunità per le istituzioni scolastiche di avvalersi delle ulteriori forme di flessibilità derivanti dallo strumento dell’Autonomia, sulla base degli spazi a disposizione e delle esigenze delle famiglie e del territorio, che contemplino, ad esempio:

– una riconfigurazione del gruppo classe in più gruppi di apprendimento;

– l’articolazione modulare di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi o da diversi anni di corso;

– una frequenza scolastica in turni differenziati, anche variando l’applicazione delle soluzioni in relazione alle fasce di età degli alunni e degli studenti nei diversi gradi scolastici;

– per le scuole secondarie di II grado, una fruizione per gli studenti, opportunamente pianificata, di attività didattica in presenza e, in via complementare, didattica digitale integrata, ove le condizioni di contesto la rendano opzione preferibile ovvero le opportunità tecnologiche, l’età e le competenze degli studenti lo consentano;

– l’aggregazione delle discipline in aree e ambiti disciplinari, ove non già previsto dalle recenti innovazioni ordinamentali;

  • una diversa modulazione settimanale del tempo scuola, su delibera degli Organi collegiali competenti.
  • Le istituzioni scolastiche avranno cura di garantire, a ciascun alunno, la medesima offerta formativa, ferma restando l’opportunità di adottare soluzioni organizzative differenti, per realizzare attività educative o formative parallele o alternative alla didattica tradizionale”.

Si tratta pertanto di iniziative gravi e rilevanti per la salute fisica e mentale degli studenti sostanzialmente rimesse alla decisione di un ente monocratico, i Dirigente Scolastico, senza contraddittorio con gli organi scolastici previsti ai sensi di legge, ed in difetto di chiare indicazioni ministeriali, sia per quanto riguarda l’adozione delle specifiche misure, sia sulla reale efficacia e necessità delle medesime in termini di sicurezza.

Si configurano pertanto condizioni inaccettabili – come sollevato da più parti e ben argomentato nell’appello da parte del Coordinamento Internazionale Associazioni per la Tutela dei Diritti dei Minori (C.I.A.T.D.M.) inviato in data 10.06.2020 al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro dell’Istruzione e al Ministro della Salute – per i seguenti motivi:

  • DIDATTICA A DISTANZA – DaD
    • L’adozione della DAD trova origine nel DPCM del 25.3.20, il cui art. 1, co.1, lett. d) riporta testualmente che “I dirigenti scolastici POSSONO attivare modalità di didattica a distanza…”. Questa norma prescrive la c.d. didattica a distanza quale alternativa valida e facoltativa a quella svolta con presenza in classe sia per i servizi educativi per l’infanzia che per le attività didattiche di scuola primaria e secondaria di I o II grado.

I DPCM susseguitisi nel tempo riportano all’incirca la medesima dicitura, ampliata anche alle università, fino a giungere al D.L. n.19 del 25.3.20 (convertito con modificazioni dalla Legge 22 maggio 2020, n. 35) che ha disposto “la sospensione dei servizi …, ferma la possibilità del loro svolgimento di attività in modalità a distanza”.

Da quanto sopra riportato emerge che la didattica a distanza non sia stata normata come OBBLIGATORIA, ma sia soltanto una diversa ed eventuale modalità di attuazione della didattica in presenza. Nonostante ciò, è stata imposta, ipotizzandone l’obbligatorietà, sia agli insegnanti (il cui CCNL vigente non cita la DaD e quindi questa non rientra tra i loro obblighi contrattuali, così come non è contemplata dal D.Lgs. n.62 del 13.4.17 – “Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze” – la “valutazione a distanza”, che potrebbe dar origine a violazioni dell’art.8 del DPCM 28.11.2000 – Codice di comportamento dei dipendenti delle P.A.), sia ai genitori, e di conseguenza agli studenti.

  • SINALP, in rappresentanza dei lavoratori propri iscritti del comparto scuola, e l’Associazione Consumatori RETE SOCIALE ATTIVA, in rappresentanza delle famiglie e Federazione Rinascimento Italia, in rappresentanza delle famiglie iscritte, possono affermare  che i genitori, i ragazzi ma anche i lavoratori della scuola, hanno faticosamente e sulla loro “pelle” sperimentato questa metodica, e possiamo affermare con risolutezza che l’esperimento della didattica a distanza sia stato un completo fallimento.

Le difficoltà che abbiamo riscontrato nel concreto sono molteplici: in primis ai genitori è stato attribuito un compito arduo, quello di fungere da insegnanti dei propri figli, di seguirli quotidianamente nella gestione dei compiti e degli strumenti tecnologi per poter effettuare le videochiamate; non tutte le famiglie italiane dispongono poi dei mezzi (PC, connessione internet veloce), delle competenze e del tempo necessari per svolgere in modo appropriato tale ruolo; sono emersi, anche tra i molti genitori stranieri, ovvi problemi di comprensione e di gestione delle indicazioni fornite dagli insegnanti, inviate per mail o gestite tramite il registro elettronico o varie piattaforme on line autorizzate dal Ministero dell’Istruzione;

è mancato completamente un supporto adeguato alle necessità ed esigenze dei soggetti con disabilità, fisiche e cognitive, o con bisogni educativi speciali (DSA, etc.), i quali, ancor più degli altri alunni, necessitano di un contesto scolastico concreto per uscire di casa e per relazionarsi con compagni e insegnanti specializzati.

In secundis, riteniamo che la modalità della didattica a distanza non sia SCUOLA, anzi ne rappresenti la distorsione e il sostanziale fallimento: non costituisce una modalità di insegnamento e di apprendimento valida ed efficace; non è inclusiva e non permette alcuna socialità ed interazione interpersonale tra alunni, e tra alunni e insegnanti. La DaD ha tradito in un sol istante tutti quelli che devono essere i principi e gli obiettivi della scuola come istituzione formativa ed educativa, ha sconvolto la quotidianità e compromesso la serenità delle famiglie italiane.

La DaD pertanto, se pure durante la prima fase dell’emergenza sanitaria ha potuto rappresentare un’alternativa, resta inaccettabile ora che siamo entrati nella fase 3 (come anche confermato in questi ultimi giorni da diversi medici), e lo sarà ancor meno a settembre, quando sarà cessato anche lo stato di emergenza dichiarato dal Governo italiano fino al 31.7.2020.

La didattica a distanza protratta ad oltranza anche al rientro a settembre costringerebbe gli studenti, già provati da questa modifica verificatasi ex abrupto nella loro vita scolastica, ad un perdurante isolamento sociale, foriero di malessere fisico e mentale (laddove questi sintomi non si siano già manifestati). Essi hanno l’assoluta necessità di relazionarsi con i coetanei e di uscire dal contesto familiare per sviluppare armoniosamente la propria personalità ed un sano profilo psicologico. I bambini e i ragazzi confinati in casa per un così lungo periodo (circa 3 mesi) si sono mostrati insofferenti, agitati o al contrario apatici, con problematiche comportamentali di varia natura e sintomi di regressione (come emerso da un recente studio dell’Ospedale Pediatrico Gaslini di Genova[1]) avendo visto rivoluzionata la scansione temporale delle proprie giornate, costretti a trascorrere moltissimo tempo davanti a uno schermo, pratica fino ad ora grandemente scoraggiata e osteggiata da qualsiasi pedagogista e psicologo infantile.

Numerosi professionisti (psicologi, psicoterapeuti, pediatri), italiani e stranieri, hanno confermato che la situazione venutasi a creare a causa delle decisioni del Governo e dei Dirigenti scolastici ha determinato, a causa delle misure di isolamento sociale, una “pandemia secondaria” per bambini e ragazzi, con evidenti ricadute fisiche e psicologiche (ansia e disturbi depressivi derivanti dalla mancanza di contatti e dalla paura del contagio, disagi emozionali, irritabilità, carenza di concentrazione, comportamenti regressivi, disturbi del sonno e dell’alimentazione, sedentarietà e conseguente aumento di peso, disturbi alla vista, emicranie, etc.).

La scuola rappresenta infatti l’occasione irrinunciabile di relazione nella formazione della personalità dell’individuo: è il luogo in cui questo sperimenta il fecondo rapporto di apprendimento e di scambio reciproco in uno spazio dedicato e altro rispetto all’ambiente domestico. Con la didattica a distanza la scuola si è trasformata in una realtà bidimensionale avulsa dalle esperienze sensoriali diverse da quella visiva.

Le domandiamo come può un insegnante, attraverso un monitor, instaurare con il bambino una relazione empatica, capire i suoi errori ed interagire per poterli correggere, accendere nei propri scolari il desiderio di imparare, la voglia di conoscere e di ricercare, indispensabile soprattutto nei primi anni di scuola per poter svolgere poi un percorso di studio costruttivo ed equilibrato?

Peraltro, anche qualora si optasse per la Dad in forma mista, dividendo le classi in due gruppi (uno in aula e l’altro a distanza), non si considera la frustrazione dei bambini che da casa vedono i compagni in classe e con i quali non possono interagire.

Pensiamo infine alle persone con disabilità (come gli autistici), che a causa della estrema fatica a socializzare e comunicare, interagiscono con le persone per mezzo di attività e approcci manuali, sensoriali, e comunicazione aumentativa. La DaD è una metodologia del tutto inapplicabile a questi soggetti, per i quali è altamente sconsigliato l’utilizzo di ausili tecnologici a causa di problematiche gravi inerenti il comportamento, l’interazione, la “dipendenza”. In questi mesi, essi sono stati privati di ogni sostegno educativo e terapeutico, subendo nella maggior parte dei casi una grave regressione cognitiva comportamentale, difficilmente recuperabile. Per loro la ripresa scolastica in presenza, in aula, è indispensabile.

Il Comitato Tecnico Scientifico, pur esordendo con considerazioni analoghe a quelle sopra esposte[2], contraddittoriamente le smentisce e le trascura nella parte successiva della propria relazione, laddove si dichiara che “alla riapertura delle attività didattiche in presenza, la modalità a distanza potrà rappresentare un momento integrativo…, diversamente applicato e commisurato alle fasce di età degli studenti”, lasciando piena discrezionalità alle singole Istituzioni scolastiche di “definire, in virtù dell’autonomia didattica, modalità di alternanza / turnazione / didattica a distanza proporzionate all’età degli alunni e al contesto educativo complessivo. In particolare, per gli ordini di scuola secondaria di I e II grado, al fine di ridurre la concentrazione di alunni negli ambienti scolastici, potranno essere in parte riproposte anche forme di didattica a distanza” (pag.16).

  • Alcune problematiche connesse alla DaD non sono state assolutamente prese in considerazione. Ci riferiamo alle conseguenze fisiche derivanti dall’uso, prolungato o meno, dei videoterminali necessari per seguire le video-lezioni.

L’uso di attrezzature munite di videoterminali (VDT) è disciplinato in Italia dal Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul lavoro (D. Lgs. n.81/2008) al Titolo VII (artt.172-178) e all’Allegato XXXIV. La normativa in questione stabilisce e prescrive in favore di lavoratori ADULTI:

  • le caratteristiche che devono avere le apparecchiature in uso (schermo, tastiera, dispositivo di puntamento), la postazione (sedile, piano di lavoro) e l’ambiente nel suo complesso (illuminazione, rumori, radiazioni, microclima, areazione, pulizia);
  • specifici obblighi in capo al Datore di Lavoro, tenuto ad effettuare una valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute del lavoratore, analizzando i posti di lavoro con particolare riguardo a:
  • i rischi per la vista e per gli occhi;
  • i problemi legati alla postura ed all’affaticamento fisico o mentale;
  • le condizioni ergonomiche e di igiene ambientale;

e a tal fine predisporre le seguenti dovute misure di prevenzione dei rischi:

  • introdurre la sorveglianza sanitaria;
  • organizzare le mansioni e i compiti lavorativi comportanti l’uso di videoterminali al fine di evitare il ripetersi e la monotonia delle operazioni;
  • programmare le interruzioni dell’attività lavorativa al videoterminale (almeno 15 minuti ogni 120, ovvero 2 ore);
  • elaborare ed attuare un piano specifico di formazione ed informazione per i lavoratori addetti ai videoterminali;
  • sorveglianza sanitaria realizzata, ove necessario, attraverso visite mediche preventive, esami specialistici e/o controllo oftamologico dei lavoratori; visite periodiche di controllo.

Dalla mancata osservanza di tali disposizioni possono derivare, oltre ad una responsabilità per il datore di lavoro, effetti dannosi, anche irreparabili, per il lavoratore, quali:

  • insorgenza di disturbi muscolo-scheletrici, legati alla scorretta postura assunta;
  • disturbi oculo-visivi;
  • fatica mentale o stress.

Nessuna Istituzione invece si è preoccupata di verificare se fosse opportuno considerare questi aspetti nella didattica a distanza a tutela degli scolari, soggetti sicuramente più deboli e con un fisico in fase di crescita.

In merito alle video-lezioni, i genitori hanno autorizzato, in emergenza, il trattamento dei dati personali e dei loro figli per accedere ed usufruire della piattaforma digitale da Voi scelta per svolgere la DaD, ed il Garante della Privacy ha dichiarato[3] in maniera eccessivamente semplicistica, che le scuole e le università non dovessero richiedere il consenso al trattamento in quanto riconducibile alle funzioni istituzionalmente assegnate ad esse. Noi riteniamo invece che la questione privacy non sia stata adeguatamente analizzata ed è stato leso questo fondamentale diritto, immolandolo ad una non specificata “esigenza superiore”.

  • Infine, fino ad oggi le Istituzioni e pure il CTS non hanno considerato le difficoltà per le famiglie di conciliare una didattica sì strutturata con la ripresa del lavoro da parte dei genitori. Sicuramente non si può risolvere la questione con l’affiancamento di babysitter o ancor meno dei nonni, visto che quest’ultima è ritenuta la categoria più a rischio e di sicuro meno al passo con la tecnologia.
  • L’unica soluzione sarebbe che uno dei due genitori rinunciasse alla propria attività lavorativa, con conseguente evidente perdita economica per l’intera famiglia, tralasciando ogni altro aspetto emotivo-relazionale. Soluzione palesemente ingiusta e impraticabile.

CONCLUDENDO: i ragazzi sono coloro che hanno pagato in misura maggiore le conseguenze restrittive di questa emergenza sanitaria e i genitori per primi hanno notato la loro repulsione verso questo metodo e sono fortemente provati dall’obbligo di dover effettuare le video-lezioni.

Pertanto, anche alla luce di tutto quanto su esposto, al fine di tutelare la salute psicofisica dei ragazzi, SINALP, l’Associazione RETE SOCIALE ATTIVA e la Federazione Rinascimento Italia esprimono il netto rifiuto a tale modalità di insegnamento, e sin d’ora affermano che i lavoratori interessati e le famiglie iscritte non accetteranno di continuare a svolgere nel nuovo anno scolastico l’attività didattica a distanza e RITENENDOVI personalmente responsabile di tutti i DANNI (salute psicofisica, danni economici e di ogni altra natura) che una Vostra eventuale decisione di adozione della DaD causerà ai ragazzi coinvolti.

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  1. RIPRESA IN PRESENZA E MISURE APPLICABILI

Gli alunni hanno la stringente necessità di tornare in classe senza essere costretti a mantenere distanziamenti fisici che potrebbero diventare un giorno distanziamenti affettivi e sociali  dai propri coetanei, e senza essere costretti a portare mascherine per tutto l’arco della giornata, considerato che numerose e autorevoli voci in campo medico sostengono l’inutilità quando non la dannosità di tale presidio, il quale può persino diventare a sua volta veicolo di virus e batteri.

L’emergenza sanitaria è oramai in manifesta regressione e per legittime esigenze di sopravvivenza economica e sociale sono ammessi gli assembramenti negli aerei, negli autobus, sono tollerati nelle spiagge  nel comparto della ristorazione e in tante altre realtà sociali.  Questo certifica che gli studenti possano tornare regolarmente in classe a settembre rispettando semplicemente alcune basilari regole di igiene, che dovrebbero già essere note e normalmente applicate in ambienti condivisi come le scuole.

  • Non contagiosità dei bambini/adolescenti e ripresa dell’attività scolastica in presenza. adeguamento delle infrastrutture scolastiche

Dal grafico sul numero dei decessi per fascia di età contenuto nel “Report sulle caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia” pubblicato sul sito di Epicentro[4] risulta che alla data del 28 maggio 2020 nei bambini ed adolescenti fino ai 19 anni la mortalità sia bassissima (fascia 0-9: 4, tutti pazienti con gravi patologie preesistenti come anche dichiarato nel Documento del CTS a pag.2; fascia 10-19: zero).

Riconosce testualmente il CTS a pag. 2 nel comunicato del 28.05.2020 che L’infezione da SARS-CoV-2 in Italia, nell’età evolutiva (0-18 anni), è stata a oggi, documentata in circa 4.000 casi: il 7% ha richiesto il ricovero ospedaliero (più numerosi nel primo anno di vita e nell’età preadolescenziale) e 4 decessi (tutti in pazienti con gravi patologie preesistenti). Nei bambini e nei ragazzi le forme cliniche sono prevalentemente paucisintomatiche, lievi e/o moderate, eccezionalmente si sono avuti 3 casi gravi che hanno necessitato di cure intensive.” Già questi dati paiono assai espliciti ed oggettivi nel quantificare il rischio pressoché nullo di diffusione del contagio tra bambini in età scolare.

 

Invero, contrariamente a quanto sostenuto dal CTS senza alcun richiamo scientifico specifico (pag.2), grazie all’enorme quantità di dati raccolti ed analizzati dall’inizio della pandemia ad oggi in tutto il mondo è risultato che non si è ancora a conoscenza di alcun bambino che abbia trasmesso il virus ad un adulto e l’evidenza suggerisce che i giovani non svolgono un ruolo significativo nel contagio. Una revisione sui casi pediatrici di coronavirus[5] ha rivelato che “la commissione congiunta Cina/OMS non è stata in grado di richiamare episodi nella ricerca di contatti in cui la trasmissione sia avvenuta da un bambino ad un adulto”. La revisione della letteratura pediatrica pertinente sul coronavirus, condotta dal Dott. Alasdair Munro e pubblicata in collaborazione con il RCPCH (The Royal College of Paediatrics and Child Health), ha appurato dai casi oggetto di studio (tra cui quello del bambino di 9 anni infetto nelle Alpi francesi che non ha trasmesso il virus SARS-CoV-2 a nessuno dei soggetti – ben 172 – con cui era entrato in contatto), che i bambini hanno meno probabilità di contrarre l’infezione rispetto agli adulti e, anche in caso di contagio, la malattia viene superata in modo tranquillo o addirittura senza sintomi. Inoltre, anche se infetti, essi non sono in grado di diffondere il virus.

LA INVITIAMO a leggere il post del Dott. Guido Silvestri (virologo docente alla Emory University di Atlanta) che in data 29.5.20 si è espresso proprio in tal senso[6].

Ancor più esplicito, il prof. Giulio Tarro, prestigioso scienziato e virogolo italiano, che, in proposito, in un’intervista rilasciata in data 11.06.2020 al dott. Pierluigi Pietricola, allineandosi con le dichiarazioni della funzionaria del gruppo tecnico dell’OMS, Maria Von Kerkhova, ha così concluso: “Da un punto di vista scientifico, ha ragione la rappresentante dell’Oms: un asintomatico infettivo non esiste. Non avendo sintomi in quanto non ha una grande quantità di virus al suo interno, non può infettare proprio per questa ragione, come dimostrato anche dallo studio recente pubblicato su PubMed cui accennavamo le scorse volte. La Von Kerkhova, tuttavia, ha precisato che sarebbe più corretto parlare di sintomatico lieve, cioè con pochi sintomi. Lei ha tenuto a fare questa distinzione, che io trovo corretta sul piano scientifico. Se ci troviamo in una condizione di massima carica virale da parte del virus, in un certo periodo dell’anno, a determinate temperature, in alcuni luoghi chiusi sovraffollati: in questi casi, allora, le misure di distanziamento sociale e di protezione individuale hanno un senso anche nell’eventualità di incontrare un sintomatico lieve. Ma se la situazione è quella in cui ci troviamo adesso, non hanno proprio ragione di esistere.”[7]

I ricercatori hanno aggiunto che gli studi sui “gruppi familiari multipli” a Guanzhou, in Cina, hanno suggerito che i bambini non sarebbero probabilmente il “caso indice”.

Del resto l’andamento del contagio da un punto di vista epidemiologico in Italia nei mesi di maggio e giugno 2020 conforta, numeri alla mano, queste tesi, in quanto, pur a fronte della totale riapertura delle attività sociali, il numero dei contagiati è calato in modo costante e progressivo sino a giungere a numeri poco significativi e comunque accettabili in un bilanciamento necessario di valori costituzionali.

Infine, in altri paesi europei le scuole riprenderanno a settembre in condizioni di completa normalità, pre COVID 19.

In diversi Stati europei (Danimarca capofila, seguita da Norvegia, Germania; mentre Islanda e Svezia non hanno mai chiuso), le scuole sono state già riaperte prevedendo lo svolgimento della didattica all’aperto anche in considerazione delle condizioni climatiche favorevoli. Anche uno Stato fortemente colpito dall’epidemia come la Spagna, per la ripresa delle lezioni scolastiche a settembre ha già varato un apposito piano che non prevede più alcuna misura di distanziamento sociale tra gli alunni, né alcun obbligo di mascherine per gli studenti in aula. [8]

Considerato tutto ciò, è possibile anche in Italia una ripresa dell’attività scolastica IN AULA sin dall’inizio del prossimo anno scolastico (2020-2021).

In Italia, l’emergenza sanitaria in fase di esaurimento può semmai rappresentare finalmente l’occasione per progettare una scuola diversa, con un numero minore di studenti per classe eliminando le “classi pollaio”, interventi strutturali con lavori di ristrutturazione e messa a norma degli edifici scolastici (in alcuni casi fatiscenti e pericolosi), l’assunzione di nuovi insegnanti, l’introduzione di una didattica all’aperto e/o in altri luoghi disponibili (culturali, sportivi, etc.) in collaborazione con gli enti locali o soggetti privati proprietari di strutture adeguate (musei, cinema, palestre), anche ampliando e variando la tipologia di attività svolte dagli studenti.

Per far ciò sarebbe auspicabile far convergere le ingenti somme che il Governo ha invece stanziato per altri progetti (sempre riconducibili alla dad)[9] verso questi obiettivi, oltre che alla creazione di nuovi spazi, ove possibile, all’interno delle scuole e all’approvvigionamento dei materiali per l’igiene personale, la pulizia e la sanificazione degli ambienti e delle attrezzature; il tutto sicuramente più utile oggi per garantire la ripartenza a Settembre della didattica in presenza.

  • Sulle misure organizzative – distanziamento fisico

Nel complesso riteniamo corrette le “misure organizzative generali” previste nel Documento 28.5.20, ad eccezione del distanziamento fisico tra alunni e tra alunni ed insegnante in ogni locale scolastico e all’aperto, e durante l’attività di educazione fisica, e del pasto in “lunch box”.

Non c’è alcuna evidenza scientifica per cui dobbiamo stare distanti”, così dichiara il Dott. Alberto Zangrillo, Primario Terapia intensiva generale e cardiovascolare del San Raffaele di Milano.[10]

La scuola è una comunità di persone, fatta di vicinanza, il mangiare insieme, condividere un compito (o copiarlo), scambiarsi uno sguardo furtivo. La scuola è corpo, quello degli alunni e quello del docente. Il maestro che guida materialmente la mano del bambino che sta imparando a scrivere, che lo aiuta in una attività laboratoriale [11]. Tutto ciò non si può DISTANZIARE.

Per la fascia d’età 0-6 anni, poi, è impensabile che i bambini possano mantenere una qualsiasi distanza interpersonale dai propri amichetti o dalle maestre. Il rapporto maestra-bambino si crea soprattutto attraverso piccoli gesti quali un abbraccio, una carezza, il tenersi per mano, e tra i bimbi è inevitabile e necessario per il loro sviluppo psicofisico ed emotivo il contatto fisico.

Insensata nonché contraria alle disposizioni attualmente in vigore (per ultimo il DPCM 17.5.2020) è la proposta, non potendosi garantire un distanziamento fisico per questa fascia di età, di far indossare al personale sia la mascherina che “ulteriori dispositivi” (es. guanti, dispositivi di protezione degli occhi, viso e mucose). Il CTS ha considerato il trauma psicologico che subiranno certamente questi bambini al momento dell’incontro con la maestra-astronauta (le mancherà solo la tuta … o le faranno indossare anche quella?) e durante la loro permanenza a scuola?

Per i bambini con disabilità psichica e/o intellettiva, come ad esempio gli autistici, che mostrano una compromissione nelle abilità di comprendere ed interpretare in modo corretto i segnali sociali, il distanziamento è una condizione inaccettabile in quanto gesti ed espressioni che sono parte integrante della comunicazione umana sono invece per loro poco chiari e quindi necessitano di un lavoro di squadra sulla continuità ed inclusione per il raggiungimento degli obiettivi che la scuola si prefigge di portare a termine come previsto dal PEI. L’autistico è propenso all’isolamento, ha la tendenza ad escludere persone ed oggetti estranei, denota difficoltà di comunicazione, linguaggio ed interazione sociale, che variano da lieve, grave, a molto grave. L’ambiente domestico e quello scolastico, appositamente studiato, sono utili, se non essenziali, al perseguimento degli obiettivi fissati. Può accadere che il soggetto, a causa di cambiamenti delle proprie abitudini, vada in panico, anche manifestando attacchi d’ira o autolesionismo, peggio ancora se evidenziamo le esigenze dei tetraplegici che hanno bisogno anche dell’assistente all’igiene personale anche per poter andare semplicemente in bagno.

Basterebbe semplicemente affidarsi al buonsenso delle persone (personale scolastico, insegnanti, genitori), disponendo frequenti lavaggi delle mani con acqua e sapone, areazione frequente degli ambienti scolastici (5-10 min. ogni ora), permanenza domiciliare fiduciaria dello studente in caso di comparsa di sintomi, ed eventualmente la rilevazione della temperatura corporea all’ingresso. Una buona campagna di sensibilizzazione potrebbe indirizzare i genitori ad un comportamento responsabile.

  • Sulle misure igienico sanitarie dell’ambiente

In merito alla sanificazione, sarebbe opportuno che essa venga svolta solo a fine giornata scolastica, allorquando gli studenti hanno già lasciato la struttura, e con successiva areazione dei locali sanificati; limitare allo stretto necessario l’utilizzo di soluzioni igienizzanti per le mani.

Sul mantenimento ininterrotto dell’apertura delle finestre nei servizi igienici, sarebbe opportuno evitare ciò nel periodo invernale, potendo effettuare come negli altri locali dell’istituto un ricambio d’aria costante da parte dei collaboratori scolastici o installando dispositivi idonei.

  • Sulle misure igienico sanitarie personali – uso della mascherina e/o di altri dpi

Il CTS prescrive l’uso delle mascherine chirurgiche a tutto il personale scolastico – docente e non (rifornito dalla scuola) – e a tutti gli studenti di età superiore ai 6 anni, per l’intera permanenza nei locali scolastici. Per la maggioranza degli alunni ciò si traduce in un obbligo di utilizzo per 8 ore giornaliere quasi consecutive.

RIFIUTIAMO categoricamente tale misura.

La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, in un documento ufficiale pubblicato il 6 aprile 2020[12],  dichiara che “al momento non ci sono prove che indossare una maschera (sia medica o altri tipi) da parte di persone sane in un contesto di comunità più ampio, compreso l’utilizzo diffuso nella comunità, possa impedire loro di contrarre virus respiratori, incluso il Covid-19. Le mascherine chirurgiche devono essere riservate agli operatori sanitari. L’uso di mascherine chirurgiche nella comunità può creare un falso senso di sicurezza, con l’abbandono di altre misure essenziali, come le pratiche di igiene delle mani e il distanziamento sociale”.

Dal punto di vista scientifico, un recente esame della letteratura, in cui sono stati analizzati 17 dei migliori studi sul tema, ha concluso che: “Nessuno degli studi ha stabilito una relazione conclusiva tra l’uso di mascherina/respiratore e protezione contro l’infezione da influenza“. È interessante notare come non sia stato condotto un solo studio per dimostrare che una mascherina di stoffa o N95 abbia un qualche effetto sulla trasmissione del virus COVID-19. Le raccomandazioni devono pertanto basarsi su studi sulla trasmissione del virus influenzale. E, come ampiamente dimostrato dalla letteratura medica, non ci sono prove conclusive della loro efficacia nel controllo della trasmissione virale.

È più che lecito chiedersi se ci siano invece dei pericoli nell’indossare una mascherina, soprattutto per lunghi periodi. Diversi studi hanno effettivamente dimostrato come sussistano rischi anche gravi per la salute. Oggi sono numerosi i medici (tra cui il Dott. Antonio Lazzarino della University College London, illustre epidemiologo e consulente del Governo inglese con un articolo sul British medical Journal[13], il Dott. Alberto Donzelli, specialista in igiene e medicina preventiva, in uno studio pubblicato su Repository di Epidemiologia e prevenzione) che confermano come l’obbligo imposto da alcune istituzioni (in particolare in Italia) sull’uso delle mascherine trascurerebbe alcuni effetti collaterali molto dannosi, fino a complicazioni anche letali, e specificamente:

1) possono dare un falso senso di sicurezza e indurre le persone a ridurre il distanziamento sociale e il lavaggio delle mani;

2)  compromettono considerevolmente la qualità e il volume della conversazione tra le persone, che inconsciamente tenderanno ad avvicinarsi;

3)  facendo entrare negli occhi l’aria calda e umida che si espira, possono dare fastidio agli occhi, spingendo le persone a toccarseli col rischio di infettarsi;

4) causano mal di testa, accumulo di anidride carbonica nel sangue (c.d. ipercapnia) e riduzione dell’ossigenazione del sangue (c.d. ipossia) con conseguenti difficoltà respiratorie e aumento della diffusione del virus.

Per quanto riguarda la causa del mal di testa, sebbene la pressione stessa della mascherina possa avere un ruolo importante, l’ipossia e/ o l’ipercapnia rappresentano la causa principale. Infatti una frazione di anidride carbonica espirata in precedenza è inalata ad ogni ciclo respiratorio facendone aumentare in modo eccessivo la quantità nel sangue e riducendone contemporaneamente l’ossigenazione. È noto che la mascherina N95, se indossata per ore, può ridurre l’ossigenazione del sangue fino al 20%, il che può portare a una perdita di coscienza e causare un grave peggioramento della funzione polmonare nelle persone affette da malattie polmonari, come la BPCO – broncopneumopatia cronica ostruttiva, l’enfisema o la fibrosi polmonare, o in pazienti con cancro ai polmoni o che hanno avuto un intervento chirurgico ai polmoni.

La maggior parte degli studi concordano dunque sul fatto che la mascherina N95 possa causare ipossia e ipercapnia significative, ma anche un altro studio condotto sulle mascherine chirurgiche ha rilevato riduzioni significative di ossigeno nel sangue.

Inoltre l’uso di questo dispositivo, aumentando la frequenza e la profondità della respirazione, spingono il virus più in profondità nei polmoni e peggiorano anche le condizioni cliniche delle persone già infette.

L’importanza dei risultati degli studi considerati è che un calo dei livelli di ossigeno è associato, nel caso delle malattie infettive respiratorie, proprio a un deterioramento dell’immunità. Gli studi hanno dimostrato che l’ipossia può inibire il tipo di cellule immunitarie principali utilizzate per combattere le infezioni virali chiamate CD4+ (una sottopopolazione linfocitaria). Questo non solo riduce le difese immunitarie verso qualunque infezione, tra cui Covid-19, ma rende le conseguenze di una qualunque infezione molto più gravi. Basso contenuto di ossigeno promuove anche la flogosi sistemica e locale e la conseguente crescita e diffusione dei tumori. Episodi ripetuti di ipossia sono inoltre ritenuti fattori di rischio significativo per aterosclerosi, infarti cardiaci e ictus;

5)  sebbene impedire la trasmissione da persona a persona sia la chiave per limitare l’epidemia, finora è stata data poca importanza agli eventi che si verificano dopo che una trasmissione si è verificata, quando l’immunità innata svolge un ruolo cruciale. Lo scopo principale della risposta immunitaria innata è prevenire immediatamente la diffusione e il movimento di agenti patogeni estranei in tutto il corpo. L’efficacia dell’immunità innata è fortemente dipendente dalla carica virale. Se le maschere facciali determinano un ambiente umido in cui il SARS-CoV-2 può rimanere attivo a causa del vapore acqueo continuamente fornito dalla respirazione e catturato dal tessuto della maschera, determinano un aumento della carica virale e quindi possono causare una sconfitta dell’immunità innata e un aumento di infezioni. Questo fenomeno può anche interagire con i punti precedenti e potenziarli.

Nuove prove suggeriscono infine che in alcuni casi il virus può penetrare anche nel cervello attraverso i nervi olfattivi. Indossando una mascherina, i virus espirati non saranno espulsi ma si concentreranno nei passaggi nasali, entreranno nei nervi olfattivi e viaggeranno fino nel cervello [14].

Vi sono poi altri studi che vorremmo sottoporre alla Sua attenzione:

Il dott. Alberto Donzelli, specialista in igiene e medicina preventiva, in uno studio pubblicato su Repository di Epidemiologia e Prevenzione, evidenzia che “….in soggetti infetti inconsapevoli, in cui l’emissione di virus è massima nei due giorni precedenti i sintomi, la mascherina obbliga a un continuo ricircolo respiratorio dei propri virus, aggiungendo la resistenza all’esalazione, con concreto rischio di spingere in profondità negli alveoli una carica virale elevata, che poteva essere sconfitta dalle difese innate se avesse impattato solo con le vie respiratorie superiori. ”

Se uniamo la quasi certa errata gestione della mascherina da parte della popolazione pediatrica con questi rischi, appare evidente che il bilanciamento rischio-beneficio penda decisamente verso il rischio, piuttosto che verso il beneficio.

Ancora il Ministero della Salute – Direzione generale della prevenzione sanitaria ufficio 5 prevenzione delle malattie trasmissibili e profilassi internazionale, nella Nota n. 0010736 del 29/03/2020 ha chiarito fra l’altro che “I dati attualmente disponibili non supportano la trasmissione per via aerea di SARS-CoV-2, fatta eccezione per i possibili rischi attraverso procedure che generano aerosol se eseguite in un ambiente inadeguato (non in stanza di isolamento con pressione negativa) e / o in caso di utilizzo di dispositivi di protezione individuali (DPI) inadeguati”.

Lo European Centre for Disease Prevention and Control, in un suo recente documento “Using face masks in the community” del 8 aprile 2020,

    (http://www.ecdc.europa.eu/sites/default/files/documents/COVID-19-use-face-masks-community.pdf) ha precisato che: “ Esiste il rischio che la rimozione impropria della maschera, la manipolazione di una maschera contaminata o una maggiore tendenza a toccare il viso mentre si indossa una maschera da parte di persone sane possano effettivamente aumentare il rischio di trasmissione .”

Sul punto si è espresso anche il dott. Antonio Lazzarino, epidemiologo presso l’University College London, con un articolo sul British medical Journal:   https://www.bmj.com/content/bmj/369/bmj.m2003.full.pdf: “In conclusione, a differenza di Greenhalgh et al., Crediamo che il contesto dell’attuale pandemia covid-19 sia molto diverso da quello dei “paracadute per saltare fuori dagli aeroplani”, [7] in cui la dinamica del danno e della prevenzione sono facili da definire e persino da quantificare senza la necessità di studi di ricerca. È necessario quantificare le complesse interazioni che potrebbero benissimo operare tra effetti positivi e negativi dell’uso di maschere chirurgiche a livello di popolazione. Non è tempo di agire senza prove.”

Segnaliamo, infine, il rapporto pubblicato ISS COVID 19 nr. 25/2020 contenente le Raccomandazioni ad interim sulla sanificazione di strutture non sanitarie, il quale, nella tabella a pag. 4, riporta la persistenza di particelle infettanti sulle superfici, che sullo strato esterno delle mascherine presenta il dato temporale in assoluto più alto ovvero di ben 7 giorni, confermando che la mascherina, lungi dall’essere una efficace protezione, costituisce un pericoloso veicolo di contagio.

Alla luce di quanto sopra appare quanto meno imprudente e non supportata scientificamente l’imposizione di mascherina alla popolazione pediatrica, che dovrebbe indossarla per molte ore al giorno, nella quasi certezza di una non corretta gestione della stessa e in presenza di non trascurabili rischi per la salute.

            In base al principio di precauzione, la dotazione in uso della stessa mascherina alla collettività scolastica indistintamente (e persino all’aperto) non può essere consigliato né tantomeno reso obbligatorio.

Dal punto di vista legale, vietare l’accesso a scuola ai bambini senza mascherina costituisce un abuso al diritto costituzionale all’istruzione che non può essere compresso per DPCM e nemmeno per decreto legge. Esiste già un precedente: il decreto Lorenzin del 2017, che inizialmente prevedeva l’esclusione da scuola anche dei bambini oltre i 6 anni privi di vaccinazione, è stato modificato in quanto lesivo del diritto costituzionale all’istruzione. Ne consegue che non si può imporre la mascherina a scuola, se non in palese violazione di diritti costituzionali inderogabili.

Su tali premesse, aggiungiamo infine alcuni nostri personali riflessioni/quesiti, sui quali attendiamo precise delucidazioni operative:

  • Come faranno i bambini a distinguere la propria mascherina da quella dei compagni? Ci verrà richiesto di metterci d’accordo con gli altri genitori sul colore o la fantasia per evitare doppioni?
  • Dovremo dotare nostro/a figlio/a di un porta mascherina ove riporla in sicurezza (sia per l’igiene che per evitare scambi)?
  • Ogni quanto tempo dovranno essere sostituite?
  • Quale procedura bisogna seguire per il cambio? Come credono i membri del CTS e il Ministero che un bimbo dell’età di 6 anni possa evitare il continuo contatto della mascherina con le mani o eseguire la sua sostituzione secondo la corretta procedura? Le mascherine sostituite, se lavabili, verranno rese? Dove verranno allocate dopo l’uso? Se smaltite a scuola, è necessaria una raccolta differenziata specifica?
  • Chi sopporterà i costi di tale dispositivo per almeno 200 giorni l’anno di attività, o ancor più qualora la mascherina dovesse essere sostituita più volte al giorno? Verrà fissato un prezzo calmierato dallo Stato? Verranno introdotte agevolazioni, o addirittura lo Stato si farà carico della fornitura gratuita a tutte le famiglie italiane, quantomeno per gli studenti per cui vige l’obbligo di istruzione?
  • Ove ne venisse confermato l’uso obbligatorio, quale soggetto, fisico o giuridico, ne garantirà la sicurezza per la salute dei nostri figli (il D.S., gli insegnanti, il Ministero, il pediatra)? In caso di conseguenze (fisiche o psichiche) riconducibili all’uso della mascherina, chi se ne assume la responsabilità?
  • Sarà previsto un controllo preventivo (visita medica), e se sì da parte di quale professionista, per valutare lo stato di salute di ciascun alunno e l’idoneità all’uso e, successivamente, regolari controlli periodici per verificare l’esistenza di variazioni, fisiche o psicologiche, nello studente dovute all’uso di tale dispositivo?
  • Saranno ammessi esoneri in caso di non idoneità all’uso attestata da certificato medico?
    • Uso dei dispositivi di sicurezza e delle mascherine per soggetti disabili e autistici

Il DPCM 17.5.2020 (l’ultimo in ordine di tempo) ha disposto all’art.3 co. 2, che “Non sono soggetti all’obbligo (delle mascherine) … i soggetti con forme di disabilità … ovvero i soggetti che interagiscono con i predetti”.

Invece il CTS prescrive al personale docente, ritenendo non sempre possibile garantire il distanziamento fisico da questi studenti, di indossare la mascherina ed utilizzare “ulteriori dispositivi” (es. guanti in nitrile e dispositivi di protezione degli occhi, viso e mucose).

Ciò è inaccettabile oltre che illegittimo, in quanto contrario alle disposizioni di cui sopra.

I bambini/ragazzi con disabilità, in particolare gli autistici, affetti da disabilità psichica o intellettiva (ovvero di un disturbo con esordio nel periodo dello sviluppo che comprende deficit del funzionamento sia intellettivo che adattivo negli ambiti concettuali, sociali e pratici), avranno notevoli difficoltà a potersi reinserire in un contesto scolastico se in esso saranno presenti barriere di distanziamento personale e persone che indossano dispositivi di protezione. Per loro infatti è oggettivamente difficile, se non impossibile, indossare le mascherine e per tale motivo i vari Decreti li hanno esonerati, unitamente alle persone che interagiscono con essi, in quanto la vista di soggetti col viso coperto ed indisposte all’avvicinamento potrebbe generare loro uno shock, che determinerebbe probabilmente la perdita dei risultati conseguiti in mesi e mesi di terapie, con danni permanenti.

  • Un’ultima precisazione nel caso Lei pensasse anche all’uso obbligatorio dei guanti.

Anch’essi risultano più pericolosi che utili come confermato da ultimo anche dall’OMS. Per poter avere una qualche utilità nella riduzione della diffusione del Covid-19 infatti essi dovrebbero essere indossati esclusivamente dal personale sanitario che entra in contatto con i pazienti affetti dal virus. Un uso invece generalizzato, da parte della collettività intera, può rivelarsi controproducente, in quanto un soggetto che tocca superfici infette con i guanti può diffondere il virus su altre superfici. In merito si è espressa anche l’Ausl di Piacenza [15]. Inoltre, l’uso prolungato degli stessi (così come lavaggi ripetuti con detergenti) rischia di togliere alla mano la sua barriera naturale chiamata “mantello idrolipidico”, che serve per proteggere le mani dall’aggressione di virus e batteri e che, se distrutto, necessita di qualche ora per riformarsi.

SINALP, RETE SOCIALE ATTIVA e Federazione Rinascimento Italia – in nome e per conto delle famiglie e dei loro figli e dei lavoratori del comparto – non intendono accettare alcuna misura di distanziamento sociale, né obbligo di mascherina e La invitano a non emanare alcuna delibera che impedisca un pieno ritorno alla normalità della didattica e delle condizioni di frequentazione della scuola.

Gli stessi Le comunicano sin d’ora che La riterranno personalmente responsabile di tutti i DANNI (alla salute psicofisica, danni economici e di ogni altra natura) che Sue eventuali decisioni di adozione di suddette misure causeranno al loro figlio/a, anche ai sensi dell’art. 5 della Convenzione di Oviedo del 4.04.1997, resa esecutiva con Legge n. 145/2001.

  • Gestione di un alunno con sintomi da covid-19

Nelle linee guida del CTS non è stata ben delineata la procedura da attuare in caso un allievo o un adulto manifestasse sintomi da Covid-19 durante l’orario scolastico. Abbiamo già letto di aberranti soluzioni da parte di alcuni Istituti scolastici.

Per questa malaugurata evenienza Federazione Rinascimento Italia, Sinalp e Rete Sociale Attiva chiedono che, all’interno di un eventuale protocollo dell’Istituto, la scuola si impegni a informare in primis i genitori dell’alunno interessato (minore o maggiorenne che sia), ai quali verrà affidato per il rientro a casa, come anche già previsto, tra l’altro, dalle linee guida (All.1 all’Ordinanza n.555 del 29.5.2020) predisposte da alcune Regioni ed in primis dalla Regione Lombardia sui “Servizi per l’infanzia e l’adolescenza”.

Le comunichiamo, sin d’ora, che non autorizziamo alcuno spostamento dei ragazzi fuori dalla sede scolastica da parte di qualsivoglia autorità pubblica e/o da personale ospedaliero o scolastico, in assenza di almeno uno dei genitori e senza il loro relativo consenso scritto.

Non intendiamo accettare alcuna misura di gestione dei ragazzi con eventuali sintomi da COVID-19 o di qualsiasi altra natura senza esplicita autorizzazione della famiglia di appartenenza.

Quindi La riteniamo sin d’ora personalmente responsabile di tutti i DANNI (salute psicofisica, danni economici e di ogni altra natura) che Sue eventuali decisioni di adozione di tali misure causeranno al ragazzo. Il prelievo non autorizzato dei figli configura anche illecito penale, che pertanto i familiari si riservano di segnalare nelle competenti sedi.

***   ***   ***

L’art. 34 della nostra Costituzione prevede che “la scuola è aperta a tutti”.

Gli articoli 33 e 34 della Costituzione italiana sanciscono il fondamentale diritto all’istruzione. Le Istituzioni hanno il dovere di garantire questo diritto e, nel pieno rispetto dell’art.3 della Costituzione, di renderlo fruibile da tutti gli studenti, offrendo loro le stesse opportunità ed i medesimi strumenti di crescita.

Come dichiarato dal Presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia [16], i principi ed i diritti fondamentali sanciti e fissati nella nostra Carta Costituzionale non possono essere sospesi nemmeno in fase emergenziale, ma al più modulati in base alle specificità della contingenza, mediante il ricorso a criteri tra cui la proporzionalità e la temporaneità. Nella fase attuale e futura, ogni limitazione a detti principi non trova più giustificazione alcuna.

Attraverso la didattica a distanza e ogni altra imposizione che si intende introdurre per la ripresa delle attività scolastiche (utilizzo di DPI obbligatori, distanziamento interpersonale), lo Stato ed i soggetti ad esso subordinati (tra cui i Dirigenti Scolastici) certo non assolvono a questo dovere nei confronti di alcun soggetto, dai bimbi più piccoli (frequentanti i servizi per l’infanzia e la scuola primaria) ai ragazzi in età adolescenziale ed universitari; dalle persone diversamente abili con difficoltà dell’apprendimento e seri limiti e difficoltà nella socializzazione, agli studenti socialmente ed economicamente svantaggiati e disagiati, che si rischia di perdere definitivamente.

Si deve anche considerare che l’Istituto Scolastico (o, per esso, l’ente statale o comunale competente) ha stipulato con i genitori dei ragazzi, al momento dell’iscrizione, un contratto che non prevede la didattica a distanza o altra forma di limitazione alle modalità di frequentazione e svolgimento delle lezioni. Ne discende che, ove tali misure venissero adottate in assenza di una chiara e concreta situazione emergenziale, esse determinerebbero una palese violazione del rapporto contrattuale, con conseguenti responsabilità in capo al D.S. ed Ente pubblico o gestore privato, nonché una violazione dell’obbligo d’istruzione riguardante la fascia tra i 6 e i 16 anni che lo Stato deve garantire.

Si consideri altresì che la Dad ed il distanziamento interpersonale di un metro sono del tutto incompatibili con specifiche metodologie di insegnamento (quali il metodo Montessori o Steineriano) diffuse sul territorio italiano, che già per tutta la durata del lockdown sono state quasi completamente trascurate, così come per gli alunni con disabilità, ai quali, per i motivi già citati, in tali condizioni verrebbe completamente precluso l’accesso a scuola.

Alla luce di tutto quanto su esposto, considerata la manifesta avversione dei ragazzi, già evidenziata nella presente diffida, alla DaD e la sua necessità di tornare il prima possibile a condurre una vita serena e gioiosa senza limitazioni, nonché la descritta probabile compromissione della salute psico-fisica dello stesso in caso di adozione delle misure di protezione suggerite dal CTS, nel suo esclusivo interesse Le comunichiamo che LE FAMIGLIE non darANNO il consenso alla partecipazione dei ragazzi alla didattica a distanza  a decorrere dal nuovo anno scolastico (2020-2021) e, nel caso in cui il rientro a scuola in presenza sia vincolato a forme di distanziamento sociale e/o all’uso di mascherine e/o altri dpi, La riteniamo sin d’ora personalmente responsabile di tutti i DANNI (salute psicofisica, danni economici e di ogni altra natura) che Sue eventuali decisioni di adozione di tali misure causeranno ai ragazzi.

Al fine di evitare ciò, confidando nella Sua comprensione e consapevoli delle difficoltà attraversate dagli istituti scolastici in questo periodo, Le chiediamo di voler dare immediato riscontro a questa nostra lettera e diffida al contempo, attivandosi sin d’ora direttamente e con i competenti Organi dello Stato a favore di una ripresa “normale” dell’attività scolastica a settembre.

Distinti saluti.

Per SINALP Dr. Andrea Monteleone, Gaetano Bonura

Per SINALP SCUOLA Dr. Gaetano Giordano

Per RETE SOCIALE ATTIVA Avv. Stefania Virga, Avv. Marzia Giacalone, Dr.ssa Serena Giuliano

Per FEDERAZIONE RINASCIMENTO ITALIA, Avv. Rocco Sardo, Nazzareno Oberto

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