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Emergenza Coronavirus: Relazione Ars dell’assessore sugli effetti economici in Sicilia

Relazione del vicepresidente della Regione ed assessore per l’Economia sulla situazione economica conseguente alla crisi pandemica Covid-19 e le misure straordinarie da adottare

Palermo – Assemblea regionale siciliana 31 marzo 2020

1. Nulla sarà come prima dopo questa pandemia che è si sanitaria, ma che é e diverrà ancor di più economica e sociale con una recessione mondiale che vale già più di 800 md€ e con pesanti effetti sull’occupazione e la crescita e che pesa in Italia, con un sistema produttivo bloccato al 70%.

Nel nostro Paese un mese di blocco produttivo determina una perdita di 100 miliardi al mese di perdita di PIL. Una crisi che non ha precedenti, come sottolinea il Fondo monetario internazionale, per dimensioni e gravità, e che per, questo impone una reazione eccezionale.

E’ ormai opinione condivisa che la nostra sia ormai un’economia da guerra ed all’esito della pandemia da Coronavirus, non solo occorrerà puntare alla ripresa, ma occorrerà farlo in un contesto economico profondamente mutato.

E questi effetti riflessi della drammatica situazione che stiamo vivendo, in un’Italia divisa tra Nord e Sud ed in un’Europa parimenti divisa rischiano di esplicare le dinamiche più pesanti sopratutto nelle are più deboli, come la nostra Sicilia.

Ci troviamo di fronte ad un fenomeno di proporzioni planetarie ed epocali tali da determinare una vera e propria palingenesi delle relazioni economiche e, più in generale, foriero di un nuovo ordine mondiale.

Come è stato osservato dagli analisti in questo contesto si dispiega una vera e propria competizione sino-americana, che manifestato i profili di guerra sanitaria, con una forte componente informativa più agevole in uno Stato autocratico, condotta con soft power (politica della pandemia).

Il Coronavirus sta infatti mutando i rapporti di potenza economica e molto probabilmente anche finanziaria nel mondo e la possibilità del loro uso geopolitico. Rafforza la tendenza a ritenere l’Occidente in declino e la Cina in crescita.

La crisi dell’economia mondiale cui stiamo assistendo se provocherà la sicura diminuzione delle interconnessioni esistenti sia sul lato della domanda che su quello dell’offerta accelerando quello che ormai può essere pacificamente definito un processo di de-globalizzazione, sotto altro profilo determinerà la diminuzione dell’efficienza e l’aumento dei costi delle produzioni, stimolando il nazionalismo economico, volto in particolare a ridurre la dipendenza delle economie europee e americana dalle forniture di componentistica estera, in particolare cinese.

Le cronache economiche dimostrano che il blocco dell’economia cinese ha fermato intere filiere produttive in Europa ed USA, ciò sta conducendo ad una profonda revisione della ripartizione della catena del valore, con la grave crisi d’interi settori, quali il turismo, i trasporti aerei e marittimi ed i servizi connessi.

Le economie più vigorose sapranno soddisfare le esigenze di rigenerazione dei processi produttivi, ma quelle più vulnerabili, con alti livelli di debito ed economie basate sulle esportazioni (specie se non a prodotti finiti) come quella italiana dovranno affrontare maggiori difficoltà, se non crisi profonde. Senza cedere alle tentazioni pessimistiche di chi ritiene che dovremo gestire una “shut-in economy” (incentrata su distanziamento sociale e riduzione degli spostamenti), occorre lavorare ad una ripresa in uno scenario profondamente e per certi versi permanentemente mutato.

Le risposte a questa situazione non possono essere solo nazionali o regionali, ma debbono essere prima di tutto europee.

2. L’Europa è dinanzi alla crisi più grave, ma anche alla più grande opportunità dalla sua fondazione.

Dagli effetti determinati dalla pandemia del COVID-19 può emergere un’Europa più egoista e più frammentata, e le ultime controverse vicende evidenziano alcune preoccupanti tendenze in tal senso, oppure un’Unione più forte e più simile a quell’Europa dei popoli, naturale evoluzione del progetto originario scaturito dalle idee dei fondatori.

Le drammatiche condizioni nelle quali riapriranno le attività economiche e sociali, dopo la paralisi determinata dal diffondersi della pandemia, impongono di ripensare la politica economica europea e di considerare le necessarie, urgenti e straordinarie misure da prendere non come deroghe ad un modello ormai obsoleto che va definitivamente archiviato ma come profondo mutamento di rotta.

Le idee che hanno guidato la politica economica europea (politiche di austerità, “fiscal compact”, patto di stabilità etc.), già forzate e contorte, sono ormai divenute incompatibili con i bisogni e le ansie dei cittadini europei che chiedono un’Europa solidale e capace di ricostruire un futuro di coesione e crescita.

La Commissione Europea ha elaborato una serie di iniziative per contrastare gli effetti del COVID-19 (“Coordinated economic response to the COVID-19 Outbreak”), ed oltre ad allargare le maglie sugli aiuti di Stato (comunicazione n. 1863, “quadro temporaneo sugli Aiuti di Stato, per consentire agli Stati membri di sostenere maggiormente l’economia durante l’epidemia di COVID-19”), ha proposto la rimodulazione della spesa dei fondi Ue, adesso approvata dal Parlamento europeo nel contesto di un’ampia iniziativa (“Coronavirus response investment initiative”).

A queste misure, si aggiungono quelle, di assoluto rilievo quantitativo, intraprese dalla Banca centrale europea, con il programma di acquisto titoli per far fronte all’emergenza pandemia (“Pandemic Emergency Purchase Programme“), mediante il quale gli acquisti dei titoli di Stato e privati saranno operati in misura «necessaria e proporzionata» allo scopo di raggiungere gli «obiettivi del mandato»: di una crescita dei prezzi vicina, ma inferiore al 2% annuo e la stabilità del sistema finanziario dell’eurozona nel suo complesso, la disponibilità di credito per l’economia reale e in ultima analisi la difesa dell’euro.

Ma é ancora troppo poco.

La corretta sospensione del Patto di stabilità e dei rigorismi di bilancio deve condurre alla loro definitiva revisione ed il “whatever it takes” deve divenire, per ogni istituzione, il modello di governo della ripresa e del rilancio dell’economia europea, assicurando credibilità al progetto di Unione.

Occorre completare l’unione fiscale e quella bancaria, va attuato lo “Strumento di bilancio per la convergenza e la competitività”, e deve ripensarsi del tutto la struttura e le modalità di funzionamento del “Fondo salva-Stati” (Mes). Come parimenti è ineludibile, a questo punto, l’adozione della scelta dell’emissione dei “bond europei per la ripresa” (European Recovery bond) ed in tal senso l’Europa deve dimostrare di restare fedele ai suoi fondamenti superando egoismi ed anacronistici rigorismi.

Dobbiamo preparare e disegnare la ripresa ritrovando le ragioni di un’Europa dei popoli, dei loro territori e delle loro culture e non dei governi e delle burocrazie, e dobbiamo quindi assumerci la responsabilità e il coraggio di superare in modo definitivo un’Unione incentrata sugli Stati, sui loro diktat ed i loro veti.

La conferenza sul “Futuro dell’Europa”, sopratutto adesso, dopo questa drammatica crisi sanitaria, ma sopratutto economico-sociale, deve divenire un’occasione straordinaria per ridisegnare dalle fondamenta questo edificio che, eliminate le superfetazioni, va riportato all’originaria funzione aggregante con l’obiettivo di assicurare pace e progresso.

E’ il momento di riconsiderare le regole di funzionamento dell’Unione Europea ed in questo un ruolo propulsivo deve svolgere il Comitato delle Regioni che raccoglie le attese e le spinte dei cittadini europei e dei loro territori, in sinergia con il Parlamento europeo.

L’Unione Europea e i governi, e tra giuristi ed economisti italiani molti lo sostengono, devono scegliere con coraggio e determinazione un nuovo percorso arrivando a concordare che:

a) il pareggio di bilancio valga solo per le spese correnti, liberando quelle per investimenti;

b) si varino gli euro o recovery bond con condizionalità attenuata;

c) la politica fiscale sia utilizzata in funzione anticongiunturale, anche a costo di aumentare il deficit pubblico;

d) sia archiviato un modello di sorveglianza sui bilanci basati su parametri inaffidabili e persino dannosi come il Pil potenziale e l’output gap;

e) vengano consolidate e rafforzate le scelte operate in materia di aiuti di stato per sostenere la ripresa.

Solo così l’Unione Europea potrà realizzare gli obiettivi di progresso e benessere e potrà progredire offrendo un futuro di pace ai nostri figli; in caso contrario si avvierà verso l’oblio offendo il fianco ai nazionalismi ed ai sovranismi alimentati da schiere crescenti di cittadini europei delusi.

L’Unione Europea potrà ritrovare slancio ed offrire soluzioni solo ritornando ai valori iniziali, al progetto che l’ha resa l’innovazione istituzionale più rilevante in un Continente dilaniato da guerre e devastazioni.

L’Europa dei diritti e della democrazia non può essere uguale a quella che oggi tarda persino a trovare la convergenza per darsi un bilancio comune superando le regole rigoristiche che hanno drammaticamente aumentato i divari economico-sociali al suo interno e ne hanno indebolito, se non pregiudicato, la competitività internazionale.

Come al termine della guerra mondiale è sorta la concreta esigenza della ricostruzione e dell’integrazione dell’Europa, oggi dobbiamo porre le basi per un nuovo destino, disegnato dalla forza unificatrice dell’idea europea, a partire dalle Regioni e dalle autonomie locali.

L’azione monetaria della BCE a sostegno dell’economia europea si sta finalmente consolidando e dimensionando per affrontare la crisi più grave non solo dalla fondazione dell’euro-sistema, ma addirittura dalla fondazione delle istituzioni europee.

La solidarietà tra i Paesi membri, il rafforzamento delle sinergie economiche, l’adozione di una politica economica europea d’impatto sulla crisi e di forte rilancio concertato (new-deal) sono le uniche vie per affrontare drasticamente una crisi senza precedenti che rischia altrimenti di far regredire l’economia europea assestando sul piano della competizione internazionale un colpo ferale.

Di fronte ad un nuovo fallimento dell’”Europa degli Stati” ed all’applicazione di regole di bilancio in taluni casi assurde, abbiamo davanti la possibilità di utilizzare questa fase di crisi come propellente per conseguire passi avanti nella costruzione dell’Europa unita delle Regioni e delle autonomie. Perduta questa possibilità non ci sono ulteriori rimedi.

Occorre tuttavia, ed in questo senso un chiaro indirizzo può ed a mio avviso deve partire anche dalla nostra Regione, l’adozione di strumenti che possano consentire di finanziare in modo coordinato la “ricostruzione” dell’economia europea.

La pandemia COVID-19 è un evento drammatico che manifesta la carenza di preparazione e resilienza di un’economia sempre più globalizzata e interconnessa, e certamente non sarà l’ultimo.

Dobbiamo utilizzare questa fase per portare al centro del confronto politico-economico un approccio che rimetta al primo posto gli interessi delle Regioni, sopratutto di quelle meridionali. Non lasciamo che questa crisi vada sprecata e da questo Parlamento deve partire un monito chiaro ed unanime in tal senso.

3. Come rilevato dalla Banca d’Italia la diffusione del coronavirus (COVID-19) si è inserita in un contesto caratterizzato da prospettive di crescita economica modesta e soggetta a rischi rilevanti. L’incertezza circa la durata e l’entità della diffusione del COVID-19 sul nostro territorio e nel resto del mondo rende difficile la quantificazione delle conseguenze economiche, che dipenderanno dall’operare dei diversi canali attraverso i quali il contagio e i provvedimenti necessari per limitarne l’estensione incidono negativamente sull’attività economica. I dati a disposizione, pur ancora limitati e frammentari, indicano ripercussioni notevoli.

Allo stato non è possibile prevedere quando l’epidemia verrà superata. Una probabile flessione del PIL e il coinvolgimento di altri paesi rende più che probabile che si inneschi una crisi economica globale che potrebbe determinare un peggioramento delle prospettive di crescita tenuto conto della forte vocazione all’export del nostro Paese.

Ciò si rifletterà sui bilanci pubblici non solo per l’aumento della spesa, ma anche per l’inevitabile effetto della caduta del PIL sulle entrate.

Nell’attuale fase, conseguentemente, le priorità sono il contenimento dell’epidemia e il rafforzamento della capacità di risposta del sistema sanitario, nonché il sostegno di lavoratori, famiglie e imprese.

L’azione pubblica deve garantire le risorse necessarie al rafforzamento delle attività di prevenzione della diffusione del contagio – inclusa la messa in sicurezza delle attività produttive ed economiche, a partire da quelle essenziali e non interrompibili − e degli interventi di cura a favore dei contagiati, per mitigare le conseguenze dell’aumento dei casi da trattare.

Al tempo stesso, l’azione pubblica deve offrire certezze e garanzie per indurre le imprese a non licenziare (evitando di ridurre i redditi delle famiglie) e per metterle in condizione di superare le difficoltà connesse sia con la forte flessione della domanda, sia con la diffusione del contagio e con le misure di prevenzione dello stesso.

Il Sevizio statistica regionale, ma si tratta delle prime previsioni, stima che la crisi avrà un fortissimo impatto economico negativo sull’UE e sulla zona euro, operante tramite l’insieme dei canali citati, e che essa ridurrà la crescita del PIL reale nel 2020 di 2,5% rispetto allo scenario pre-pandemia.

Considerando perciò che, secondo le previsioni della Commissione Europea, la crescita del PIL reale nell’UE nel 2020 sarebbe stata dell’1,4%, ne consegue che essa potrebbe scendere a -1,1% rispetto al 2019, con un recupero sostanziale ma non completo nel 2021.

Non può essere peraltro tralasciato il riferimento all’ultimo Rapporto di Previsione di Prometeia, (pubblicato il 27 marzo 2020) che contempla la grave emergenza degli ultimi giorni e un’ipotesi di lenta e selettiva rimozione dei blocchi produttivi solamente a partire dal prossimo mese di maggio. L’analisi è infatti particolarmente dedicata alle caratteristiche dell’emergenza in atto e alle refluenze di sistema.

Mentre dieci anni fa lo scoppio della crisi originò dalla finanza, oggi la natura dello shock è di tipo reale (i blocchi alle attività e le quarantene). In questa prima fase sta colpendo soprattutto i servizi, la fetta più importante del valore aggiunto nei paesi avanzati, con più occupati rispetto alla manifattura e dove le vendite perse difficilmente possono essere recuperate.

La natura reale e globale di una crisi che parte dai servizi comporta effetti moltiplicativi molto pesanti legati agli scambi internazionali, rendendo la riduzione di attività particolarmente intensa.

A partire da queste premesse, si delinea uno scenario ancor più pessimistico per l’Italia, che contiene i seguenti dati:

– una contrazione del Pil italiano nel 2020 del 6,5% come risultato della sospensione attuale delle attività e di un rimbalzo solo graduale verso l’autunno. Quest’ultimo, proseguendo nel periodo successivo, potrà determinare una crescita di +3,3% nel 2021 e +1,2% nel 2022;

– un alleggerimento delle tensioni sui titoli di Stato italiani nel breve periodo, grazie alle politiche monetarie della Bce, che tuttavia non potrà consentire oltre un certo limite l’intervento fiscale del governo a supporto alla domanda: a fine 2020 il deficit/Pil avrà raggiunto il 6,6% e il debito/Pil il 150%; nel medio periodo l’Italia dovrà convivere con un elevato livello di disavanzo pubblico (di nuovo sotto il 3% solo nel 2022);

– una riduzione nel 2020, del Pil mondiale (-1,6%) ed una ancor più notevole del commercio internazionale di merci (-9,4%). Nel 2021 e 2022 la crescita globale sarà, rispettivamente, del 4,6% e 3,3%;

Con queste condizioni esogene, il mantenimento della stabilità macroeconomica nell’Eurozona (Pil 2020 -5,1%; Pil 2021 +3,4%) al di là della situazione dell’Italia, richiederà una risposta forte e coordinata a livello Ue: ad esempio, attraverso il finanziamento delle maggiori spese con emissioni di titoli europei dedicati.

4. Nell’economia regionale i settori particolarmente colpiti risultano i trasporti, il turismo, il settore alberghiero ed il commercio al dettaglio, ma il perdurare delle misure di contrasto al virus stanno progressivamente, estendendo a tutti i settori sottoposti al vincolo di chiusura gli effetti recessivi.

Se le previsioni sull’andamento dell’economia nazionale sono quelle illustrate esse non potranno che determinare effetti peggiorativi su quello regionale, superando la dinamica regressiva e spingendo la contrazione oltre il 7%.

Questa prospettiva impone da un lato di approvare in tempi brevi un bilancio ed una legge di stabilità proiettata all’emergenza, ma sopratutto di approntare a livello regionale e concordare a livello nazionale massicce misure di supporto alla domanda e di iniezione di liquidità.

Il Governo regionale, come precisato, è già al lavoro su questa prospettiva ed aperto ad ogni interlocuzione per offrire ai siciliani l’attenzione e le risposte che questa drammatica vicenda impone.

Nell’immediatezza dell’inizio della crisi sono state assunte alcune iniziative sul piano economico per il sostegno alle imprese (la moratoria sui mutui d’intesa con l’ABI-Sicilia, estesa a Crias, Ircac ed Irfis; la misura straordinaria di liquidità affidata ad Irfis, con l’impiego di 30 milioni € per contributi in conto interessi a finanziamenti da 100.000 € alle imprese al fine di rafforzare il capitale circolante – e questo prima che autorevoli esponenti dell’economia europea sottolineassero che l’immissione di liquidità nel sistema mediante agevolazione di accesso al credito costituisce la soluzione da approntare nell’immediato per garantire ossigeno alle imprese -, il bando sui tranched-cover/garanzie di portafoglio per 25 milioni € con l’obiettivo di garantire finanziamenti per 250 milioni€, l’incremento di ulteriori 100 milioni € per la garanzia sui crediti).

Risulta tuttavia essenziale, come anticipato, la definizione del negoziato finanziario con il Ministero dell’Economia e le Finanze.

Da ultimo, con nota del 2 marzo 2020 si è segnalato al Ministro dell’economia che come precisato nel corso dell’ultima riunione del tavolo di confronto istituito già da gennaio 2019 presso il Ministero, che si è tenuta il 15 gennaio u.s., in assenza di una piena attuazione dell’accordo del dicembre 2018, lo stesso deve ritenersi disatteso.

Il Governo regionale, anche a causa di un grave disallineamento delle entrate rispetto alle previsioni per circa 600 mil. euro, si trova costretto ad intervenire, già in sede di bilancio 2020-2022, sui capitoli di spesa inerenti l’accordo sottoscritto (la residua somma dovuta per split payment e 300 mil euro sul concorso alla finanza pubblica) al fine di garantire l’espletamento delle funzioni attribuite e dei servizi ai cittadini e raggiungere cosi gli equilibri di bilancio.

I rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali sono, come noto, regolati dal principio dell’accordo, inteso come vincolo di metodo (e non già di risultato) e declinato nella forma della leale collaborazione (sentenze n.88/2014, n. 193 e n. 118/2012).

Nei confronti delle autonomie differenziate è così espressamente salvaguardato, come la stessa Corte Costituzionale ha chiarito nella sentenza n.154/2017, il metodo pattizio prevedendosi la necessità della stipula di un’intesa bilaterale con ciascuna autonomia speciale.

Ne discende che, fermo ed impregiudicato restando l’obbligo di concorrere al risanamento della finanza pubblica, va ritenuto sussistente il limite consensuale all’incidenza delle decisioni statali sulla finanza regionale (sent. n. 77 del 2015, n.154 del 2017 e n. 103 del 2018) dovendosi ritenere carattere necessariamente transitorio il regime delle previsioni statali che prescrivevano unilateralmente il contributo al risanamento della finanza pubblica da parte delle Regioni (Corte cost. sent. n. 154 del 2017, n. 65 del 2016, n. 218 e n. 189 del 2015).

A questo riguardo giova ricordare che il principio di leale collaborazione, sia nei rapporti Stato-Regione che per quelli tra le Regioni in sede di auto-coordinamento postula “un confronto autentico, orientato al superiore interesse pubblico di conciliare l’autonomia finanziaria delle Regioni con l’indefettibile vincolo di concorso di ciascun soggetto ad autonomia speciale alla manovra di stabilità, sicché su ciascuna delle parti coinvolte ricade un preciso dovere di collaborazione e di discussione, articolato nelle necessarie fasi dialogiche”(Corte cost n. 103 del 2018).

E tale contributo, contributo imposto alle Regioni speciali, può ritenersi legittimo se ed in quanto l’accantonamento delle quote di compartecipazione, in attesa che sopraggiungano le norme di attuazione cui rinvia l’art. 27 della legge n. 42 del 2009, abbia carattere transitorio “perché altrimenti l’accantonamento si tramuterebbe di fatto in appropriazione”.

La procedura di modifica delle norme di attuazione in materia finanziaria costituisce, infatti, il “mezzo procedurale con il quale le autonomie speciali, anziché essere private definitivamente di quanto loro compete, partecipano al risanamento delle finanze pubbliche, impiegando a tal fine le risorse che lo Stato trattiene. Le quote accantonate rimangono, in tal modo, nella titolarità della Regione e sono strumentali all’assolvimento di un compito legittimamente gravante sul sistema regionale” fermo restando che i rapporti finanziari conseguenti all’applicazione degli accantonamenti devono necessariamente trovare apposita regolamentazione “in attesa che sopraggiungano le norme di attuazione cui rinvia l’articolo 27 della legge n. 42 del 2009”(Corte cost. n. 77 del 2015).

Al riguardo giova inoltre ricordare che giusta la sentenza n 6 del 2019 la Corte costituzionale ha ritenuto illegittimo l’articolo 1, comma 851, della legge n. 205 del 2017 «nella parte in cui non prevede, nel triennio 2018-2020, adeguate risorse per consentire alla Regione autonoma Sardegna una fisiologica programmazione nelle more del compimento, secondo i canoni costituzionali, della trattativa finalizzata alla stipula dell’accordo di finanza pubblica».

Si tratta di un arresto giurisprudenziale di grande momento ed in linea con quanto la Corte aveva affermato precedentemente circa la necessità che lo Stato ponga in essere una leale collaborazione con le autonomie territoriali nella gestione delle politiche di bilancio e della necessità che quest’ultimo riconosca, altresì, la specifica condizione di insularità.

Secondo il chiaro orientamento del giudice delle leggi, infatti, nelle relazioni finanziarie tra Stato e Autonomie territoriali, infatti, la “ragione erariale” non può essere un principio tiranno. Ne discende che nell’adozione delle politiche di bilancio, il legislatore dispone di una discrezionalità “limitata” dagli effetti delle sentenze della Corte costituzionale, alle quali deve dare attuazione tempestivamente dopo la pubblicazione della sentenza e comunque entro la prima manovra di finanza ad essa successiva.

Alla stregua dei principi delineati, e dopo diversi moniti al legislatore per rendere razionale e proporzionata la partecipazione delle Autonomie territoriali alla realizzazione degli obiettivi e al rispetto dei vincoli di finanza pubblica, è giunta così la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni della legge di bilancio dello Stato sulle relazioni finanziarie con la Regione autonoma Sardegna nel triennio 2018-2020.

Al fine di conferire effettività alla propria pronuncia, la Corte ha enucleato dalla legislazione costituzionale, da quella attuativa e dai propri indirizzi giurisprudenziali i criteri con cui dovranno essere determinati i contributi spettanti alla Regione autonoma Sardegna per il triennio 2018-2020, in attesa del perfezionamento l’accordo definitivo tra lo Stato e la medesima Regione:

1) la dimensione della finanza della Regione rispetto alla finanza pubblica;

2) le funzioni effettivamente esercitate e i relativi oneri;

3) gli svantaggi strutturali permanenti, i costi dell’insularità e i livelli di reddito pro capite;

4) il valore medio dei contributi alla stabilità della finanza pubblica allargata imposti agli enti pubblici nel medesimo arco temporale;

5) il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

Con particolare riguardo al tema delle entrate, come osservato dalla Corte dei conti-Sezioni riunite per la Regione Siciliana nel corso della parifica del rendiconto 2018 (13 dicembre 2019, presieduta per l’occasione dal Pres. Buscema), va escluso che: “i decimi individuati per il calcolo dell’imposta spettante alla Regione siano sufficienti ad assicurare – come previsto nello Statuto siciliano – un livello di entrate idoneo a sostenere l’espletamento di tutte le funzioni esercitate in virtù dell’autonomia speciale, specie in considerazione dell’entità del concorso alla finanza pubblica di cui si è detto. La completa attuazione dello Statuto siciliano, infatti, è un tema ancora aperto”.

In tal guisa, volendo trarre le conclusioni sul tema delle entrate gli stessi giudici contabili affermano puntualmente “nell’ambito delle risorse complessive, pari a 20.352 milioni (comprese le partite di giro), se si escludono le entrate specificamente destinate alla sanità, pari a 7,3a tutta evidenza, non appaiono per nulla sufficienti a fornire copertura finanziaria al complesso quadro di oneri di spesa rigidi né consentono manovre di politica fiscale o economica finalizzate al rilancio di settori di attività produttive”.

Una considerazione a se stante merita la questione del contributo al risanamento della finanza pubblica determinato dalla l. n. 145 del 2018, a seguito dell’accordo concluso il 19 dicembre 2018, in 1.001.000.000 €.

Al riguardo deve ritenersi che la sopravvenuta deroga ai vincoli europei di bilancio ottenuta dallo Stato possa consentire una temporanea riduzione siccome proposta dal Governo regionale e recepita dalla Conferenza delle Regioni con un apposito emendamento presentato al Governo e che prevede per il 2020 ed il 2021 la riduzione a 300.000.000 euro.

In senso analogo giova poi ricordare la proposta di modifica delle norme di attuazione in materia di armonizzazione contabile (d.lgs. n. 158 del 2019), successiva all’approvazione del differimento al 30 settembre del termine per alcuni adempimenti di riequilibrio, adottata con delibera della Giunta del 28 marzo u.s. che prevede per il 2020 la sospensione del ripianamento del disavanzo regionale.

Ciò anche per far fronte alla circostanza che, ad oggi, l’art. 111 del d.l. n. 18 del 2020, recante previsioni in materia di “Sospensione quota capitale mutui regioni a statuto ordinario”, limita – ed in termini del tutto discriminatori – alle sole regioni a statuto ordinario la sospensione delle quote capitale, in scadenza nell’anno 2020 dei prestiti concessi dal Ministero dell’economia e finanze e dalla Cassa depositi e prestiti S.p.a. trasferiti al primo in attuazione dell’articolo 5, commi 1 e 3, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326.

Le quote capitale annuali sospese, in tal caso, si prevede vengano rimborsate nell’anno successivo a quello di conclusione di ciascun piano di ammortamento contrattuale.

Infine, una delicata questione riguarda la riforma dei fondi strutturali europei indotta dalla crisi pandemica appena varata dalla Commissione UE e dal Parlamento europeo con la riforma dei regolamenti del 2013.

I fondi – com’è noto – sono assegnati in prevalenza alle regioni del Mezzogiorno, ed in termini ingenti alla Sicilia, com’è nella logica e nelle finalità della politica di coesione, mentre in questo momento l’emergenza sanitaria e quella socio-economica dispiegano i propri drammatici effetti su gran parte del territorio nazionale.

Le risorse del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), le risorse del Fondo Sociale Europeo (FSE) ed i fondi destinati all’agricoltura ed alla pesca, oltre che quelle di programmi complementari e del Fondo sviluppo e coesione, pur in questa tremenda congiuntura sanitaria, sociale ed economica debbono mantenere la loro allocazione regionale e la funzione addizionale rispetto a misure straordinarie che lo Stato è chiamato a finanziare con la fiscalità generale, spingendo auspicabilmente il finanziamento in deficit sino a 100 miliardi di euro.

Occorre scongiurare quel che è avvenuto sino ad adesso e che la stessa Commissione Europea, attraverso il direttore della DG-Regio, Marc Lemaitre, in ottobre scorso ha contestato formalmente al Governo italiano.

I fondi europei destinati al Sud ed alla Sicilia, in spregio alle previsioni dei Regolamenti europei, ancora oggi sostituiscono l’intervento ordinario dello Stato, in violazione del ‘Principio di addizionalità’ sancito dai regolamenti Ue, in base al quale i fondi europei debbono addizionarsi e non sostituirsi agli interventi ordinari degli Stati per realizzare il superamento del divario, ancora molto grave, che spacca il Paese.

Occorre scongiurare che si replichi il “paradigma delle ferrovie”: al nord (come per l’alta velocità) si realizzano le infrastrutture ed acquistano i mezzi con la fiscalità generale (di tutti i contribuenti) ed in Sicilia, come nel Sud, in gran parte con le risorse europee.

La riprogrammazione dei fondi europei e di coesione deve adesso contrastare gli effetti economici della pandemia e, nel contempo, assicurare l’addizionalità ed in nessun modo sostituire l’intervento che va assicurato dallo Stato su tutto il territorio nazionale proprio nel rispetto del principio alla stregua del quale le dotazioni finanziarie dei Fondi strutturali e di investimento non possono condurre a una riduzione degli investimenti strutturali nazionali in quelle regioni, ma dovrebbero rappresentare un’aggiunta alla spesa pubblica

La Regione siciliana ha voluto precisare alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome che la riprogrammazione dei fondi europei e di coesione non può destinare, evidentemente, iniziative al di fuori dei territori ai quali sono state assegnate.

Ma il Governo nazionale deve parimenti chiarire che nei territori meridionali, ed in particolare in Sicilia, le risorse europee scaturenti dalla riprogrammazione si devono aggiungere agli interventi statali di contrasto agli effetti economici della pandemia (addizionalità) per rafforzare la spinte nelle aree economicamente e socialmente più deboli, scongiurando così alcuna perniciosa sostituzione.

Regioni, giova ricordarlo, già attraversate da una drammatica emigrazione “di ritorno” di decine di migliaia di operai e studenti, in recessione già prima dell’irrompere della pandemia, e che vivranno, al termine delle misure sanitarie, mesi, se non anni, durissimi prima di incrociare la ripresa.

È indubitabile che gli effetti della crisi economica del Sud stanno più pervasivi e durevoli proprio per l’intrinseca debolezza del tessuto socio-economico meridionale, sicché occorrerà adottare non solo misure per la ripresa di sostegno alle imprese, agevolando l’accesso al credito per rafforzare il capitale circolante e la liquidità, ma sopratutto iniziative di sostegno ai consumi se non di vera e propria assistenza alimentare.

In conclusione, nella riprogrammazione dei fondi europei e di coesione per far fronte agli effetti dell’emergenza pandemica si dovrà rispettare l’allocazione delle attuali dotazioni finanziarie e la loro destinazione regionale ed il principio di addizionalità delle risorse europee e di coesione rispetto agli interventi ordinari e straordinari che vanno finanziati con la fiscalità generale.

5. Per adottare politiche di bilancio espansive in questo contesto difficile occorre l’“idemsentire de republica” e che si rifugga da tattiche declamatorie e cadornismo. In alcune iniziative questo Parlamento ha saputo dimostrare la capacità di decidere in fretta e con tangibile coesione tra le forze politiche, come nel caso della riforma delle procedure amministrative (L.r. n. 7 del 2019) approvata con voto unanime.

Al termine del primo conflitto mondiale, ad un’Italia uscita vittoriosa dalla guerra, drammaticamente provata sul piano economico, sociale, ma anche sanitario (aveva dispiegato i propri tremendi effetti la pandemia influenzale “spagnola”, dopo la Lombardia era stata infatti la nostra Regione ad offrire il più grande tributo di vittime, quasi 30.000, che si sommavano ai 45.000 caduti al fronte) un grande siciliano, V.E. Orlando richiamava la politica al confronto leale e proficuo: “l’ora impone ardui doveri ed esige lavoro austero e fecondo. Si potrà affermare la più radicale diversità di concezioni politiche ed escogitare la più opposta varietà di mezzi” richiedendo ai parlamentari “la più concorde e sincera volontà di costruire le nuove e più grandi fortune del nostro popolo” (discorso alla Camera del 3.12.1919).

Quello che ci aspetta è un lavoro duro, che sappia cogliere difficoltà ed angosce dei siciliani di fronte a questa drammatica crisi, ma anche interpretarne l’ansia di riscatto.

Siamo chiamati, quindi, a dare alla Sicilia – e come da tempo ribadito nel più breve tempo possibile – un bilancio ed una legge di stabilità che sblocchino la spesa, mobilitino risorse ed investimenti, offrano strumenti e misure per affrontare recessione e disagio sociale, introducano riforme strutturali e massima semplificazione.

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