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lunedì, 23 Dicembre 2024

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Marsala, lettera di tre ex lavoratori della Delfino S.r.l.

Riceviamo e pubblichiamo

Marsala – Con la presente, i sottoscritti Antonino Chirco, Vincenzo Giacalone e Massimo Adragna, tutti ex dipendenti, della Delfino S.r.l., una delle società riconducibili a Michele Licata, ed oggi in amministrazione giudiziaria, vogliono evidenziare le storture del sistema “Amministrazione Giudiziaria dei beni sequestrati” cui e sottoposta la società ove fino a qualche mese fa svolgevamo l’attività di lavoro subordinato.

Infatti, dopo diversi anni alle dipendenze della suddetta società (Chirco 17 anni – Giacalone 11 e Adragna 7), in momenti diversi decidevamo di dimetterci dalla Delfino S.r.l. in amministrazione giudiziaria, per intraprendere una nuova esperienza lavorativa.

Pertanto, dopo le necessarie comunicazioni e il periodo di preavviso, cessava il rapporto di lavoro e tutti noi ci aspettavamo, come qualsiasi altro lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro, di ottenere il pagamento del trattamento di fine rapporto, che, nel caso in specie, in considerazione dei diversi anni in cui si è protratto il rapporto di lavoro, costituirebbe una somma non indifferente per un lavoratore subordinato come noi.

Inizialmente abbiamo ricevuto dall’ufficio del personale non chiare informazioni sul pagamento del TFR e, dopo qualche mese abbiamo deciso di diffidare la società per il tramite del nostro legale, cui ci eravamo rivolti per avere maggiori delucidazioni in merito.

Con grande stupore abbiamo appreso che del nostro TFR è stato corrisposto immediatamente quello maturato dall’inizio dell’amministrazione giudiziaria alle dimissioni (appena 3 anni); invece, quello antecedente l’amministrazione giudiziaria sarà corrisposto secondo la disciplina di cui all’art.57 e ss. Del Codice Antimafia con tempi pressoché lunghissimi e non prevedibili.

Ritenendo, dal punto di vista giuridico, non applicabile al caso in specie la suddetta disciplina stante che il rapporto di lavoro è sorto antecedentemente all’amministrazione giudiziaria e continuato dopo essa, con la conseguenza che il TFR è divenuto liquido ed esigibile solo con la cessazione del rapporto di lavoro e, pertanto, si ritiene non applicabile l’art. 57 del Codice Antimafia.

Premesso ciò, non si riesce a capire come mai una qualunque società o ditta individuale debba, al cessare del rapporto di lavoro, provvedere al pagamento del TFR del lavoratore, mentre lo Stato, sostituitosi ad un imprenditore presuntivamente in odore di mafia o, come nel caso in specie, evasore, possa rinviare il pagamento del TFR a data da destinarsi, noncurante delle necessità e dei bisogni dei lavoratori che non possono disporre di somme accantonate dal datore di lavoro e relative alla loro retribuzione per far fronte ad esigenze familiari.

Ciò rappresenta certamente sicuramente una delle tante storture di tutto il sistema dell’amministrazione giudiziaria che abbiamo potuto conoscere in questi tre anni.

Antonino Chirco
Vincenzo Giacalone
Massimo Adragna

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