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Grigoli “prestanome di Messina Denaro”: il suo patrimonio allo Stato

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Altro duro colpo per Matteo Messina Denaro. La Corte d’Appello ha rigettato i ricorsi dei familiari dell’imprenditore Grigoli ritenuto prestanome della primula rossa di Cosa nostra. Il grande patrimonio del “Re dei Despar”, passa dunque definitivamente allo Stato. Questo perché secondo i giudici, Grigoli, non è una vittima di “Cosa Nostra”, ma un “Imprenditore colluso” con il boss. Proprio per questo il suo enorme impero passa allo stato. Dai supermercati sparsi in mezza Sicilia alle aziende della grande distribuzione.

I beni sono ritenuti del superlatitante. Il provvedimento è stato emesso dal collegio presieduto da Maria Patrizia Spina, a latere Antonio Caputo e il relatore Raffaele Malizia, e ribadisce la figura di sostanziale prestanome rivestita da Grigoli. È stato confermato il decreto della sezione misure di prevenzione del tribunale di Trapani, risalente al luglio 2013, con la revoca formale del sequestro di due società, il Gruppo Grigoli Distribuzione e il Gruppo 6 Gdo, perché entrambe sono state definitivamente confiscate in sede penale e la nuova confisca sarebbe stata, nella sostanza, un duplicato della prima. Il Gruppo 6 Gdo gestiva direttamente 43 punti vendita, situati in numerosi paesi delle province di Trapani e Agrigento e altri 40 punti vendita affiliati al marchio Despar.

L’ascesa di Grigoli con l’aiuto del boss
L’imprenditore, è in carcere dal 2007 e sta scontando una pena di 12 anniin quanto ritenuto responsabile di associazione per delinquere di stampo mafioso. Un legame stretto, quello con il super boss più ricercato, tanto che a battezzare sua figlia Federica, nel lontano 23 dicembre del 1990, fu la sorella di Messina Denaro. Il padre di Pino Grigoli, che si chiamava Nino, tra gli anni 60’ e 70’ aveva un piccolo magazzino in via Seggio a Castelvetrano e forniva i commercianti, dei paesi limitrofi, di sacchettini di plastica, sale e prodotti per alimenti. Il giovane figlio, Pino, aiutava il padre guidando il pulmino e trasportando questi prodotti ai vari commercianti delle zone. Poi aprì una piccola bottega, un mini market e da li cominciò la sua scalata.

A garantire la scalata nel mercato alimentare di Grigoli, anche fuori dalla provincia di Trapani – secondo la valutazione di investigatori e inquirenti – è stato Messina Denaro in persona. Da una piccola “Bottega”, Grigoli è arrivato ad avere dodici società, 220 fabbricati (palazzine e ville) e 133 appezzamenti di terreno per 60 ettari, considerati di «origine e di natura mafiosa».

Lumia: beni confiscati diventino occasione di sviluppo
«Matteo Messina Denaro ha costruito una rete economica devastante – ha dichiarato il senatore Giuseppe Lumia, appresa la notizia – Il territorio senza legalità non produce vero sviluppo. Adesso dobbiamo tenere insieme queste due dimensioni e batterci perché Matteo Messina Denaro sia consegnato alla giustizia e i beni confiscati non vadano in degrado, come si è rischiato in questo caso, ma diventino un’occasione reale di sviluppo. Bisogna recuperare una gestione efficiente dei beni tolti alle mafie. Ecco perché siamo impegnati in una riforma ad hoc affinché sia garantito il loro riuso sociale e produttivo».

Secondo la Corte d’Appello il «“re dei supermercati” non avrebbe mai manifestato una qualche presa di distanza effettiva e sincera dall’associazione mafiosa e, nonostante le vicende giudiziarie che lo hanno coinvolto e la lunga detenzione subita, si è ulteriormente accreditato quale soggetto pienamente affidabile nei confronti del sodalizio criminale». I due avvocati difensori hanno cercato di dimostrare che l’imprenditore aveva preso le distanze dagli ambienti mafiosi, ma per i giudici non c’è stata nessuna «dissociazione, o quantomeno distacco da Cosa nostra».

Ricorso in Cassazione
Già alla fine degli anni settanta, Grigoli, avrebbe procurato a Messina Denaro “i mezzi necessari per il mantenimento della sua ultradecennale latitanza” e in cambio Grigoli avrebbe avuto vantaggi espandendo le sue aziende su tutto il territorio delle province di Trapani e Agrigento”. Aveva anche assunto parecchi parenti del boss. Ora, per i supermercati della Despar che costituivano l’immenso patrimonio dell’imprenditore, è possibile solo il ricorso in Cassazione. Ad indagare su di lui sono state la questura di Trapani e la Dia. Confermati anche i quattro anni di sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno. [di Francesca Capizzi – Corrieredelmezzogiorno.corriere.it]

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