“Che cosa farà stavolta Virginia Raffaele?” E’ questa la domanda che si fa tutta Italia ogni sera appena inizia il Festival. Le sue, più che imitazioni, sono vere e proprie “interpretazioni”: entra, scruta, ruba il personaggio e ne riveste meravigliosamente i panni, lasciandoci ogni volta a bocca aperta con la sua strepitosa bravura e riuscendo a strapparci sorrisi e spensieratezza. Solo per lei vale la pena seguire Sanremo 2016.
Confesso, infatti, che a parte le emozionanti partecipazioni di Laura Pausini, di Eros Ramazzotti e di un immenso Ezio Bosso, tutto il resto è stato piuttosto deludente: spettacolo lento, canzoni nella medietà, serate prive di qualunque segno di contemporaneità e di originalità. Eppure, come lo scorso anno, gli ascolti sono stati davvero da record: una media di 11 milioni di spettatori, share del 50%, sostanzialmente in linea con l’edizione precedente la prima serata e addirittura 9 punti in più rispetto alla corrispondente serata dell’anno precedente, la seconda.
Di fronte a questi numeri, solitamente si tace ammirati. Sembra che il pubblico abbia dato a Conti “carta bianca”, ovvero: hai la mia fiducia a prescindere, ti seguo “senza se e senza ma”, sono sicuro che non mi deluderai. Un’autorevolezza da “gran cerimoniere”, quella del conduttore di “Tale e Quale Show” e de “L’eredità”, conquistata in anni di silenzioso lavoro, da bravo scolaretto figlio di mamma Rai: mai una parola di troppo, mai una polemica inutile. Quello di Carlo Conti, in poche parole, è lo spettacolo delle “ità”: quotidianità, tranquillità, normalità. Talvolta “prevedibilità”.
Tutta questa fiducia che il pubblico gli ha accordato, lo ha reso immune dall’ansia delle novità. Non a caso, Sanremo 2016 è “tale e quale” all’edizione 2015, e per certi versi il suo andamento è tale e quale a “Tale e quale show” (perdonate il gioco di parole).
Quando Carlo Conti annunciò i cantanti che sarebbero stati in gara a Sanremo, pensai subito che avesse fatto “centro”: Fragola, Arisa, Dear Jack, Alessio, Dolcenera, Stadio, Patty Pravo… un mix di gusti per accontentare tutti i palati, strizzando l’occhio allo zoccolo duro del pubblico di Raiuno, i cosiddetti “over, con gruppi storici e nomi mitici della musica italiana, ma soprattutto cercando di portare a sé il pubblico dei talent show da cui proviene gran parte dei cantanti in gara, col suo seguito “social” che fa tanto opinione nell’era della vita condivisa su internet.
Obiettivo centrato? Sì. Tutti parlano di Sanremo. Ma le canzoni? E’ questo il tasto più dolente dell’edizione: se infatti, dopo aver ascoltato tutte le proposte in gara, sappiamo pressappoco quali fra esse non vinceranno, al contrario non abbiamo la più pallida idea di quali potranno salire sul podio. Nessun pezzo, infatti, colpisce particolarmente, né per il testo né per la musicalità. Questo Sanremo, dunque, non è solo il Festival della “medietà” (termine elegante per non scrivere “mediocrità”) dal punto di vista dello show in sé. Lo è anche – e in primo luogo – per il livello canoro.
LE PAGELLE DEI CANTANTI
Dolcenera, “Ora o mai più (le cose cambiano)”: voto 7. Blues elegante ed intenso.
Clementino, “Quando sono lontano”: voto 5. Dopo “Cose cose cose”, il vuoto. Non si capisce una mazza.
Patty Pravo, “Cieli immensi”: voto 7. Lei è immensa, a prescindere (la canzone un po’ meno…).
Valerio Scanu, “Finalmente piove”: voto 6. Bella voce, zero emozioni.
Francesca Michelin, “Nessun grado di separazione”: voto 5. non basta la sua vocalità. Il testo sa di niente.
Alessio Bernabei, “Noi siamo infinito”: voto 7. Canzone molto radiofonica, cantata anche benino. Testo da bimbiminkia, ma a me piace. Sono messo male, lo so.
Elio e le Storie Tese, “Vincere l’odio”: voto 7,5. Ma che cos’è sta cosa? Cioè, come la definisco sta canzone? Geniale o impresentabile? Sono sette mini –musical in un’unica canzone. Spassosissimo. In radio non la cagherà nessuno e fuori da Sanremo non esisterà. E’ puro spettacolo.
Annalisa, “Il diluvio universale”: voto 7,5. Bella canzone, cantata divinamente. La ragazza è come il vino, migliora di anno in anno.
Neffa, “Sogni e nostalgia”: voto 5. Scialbo, noioso, vecchio. 5 è pure troppo. Du palle.
Zero Assoluto, “Di me e di te”: voto 6. Carina la canzone, non male il ritmo, ma nulla di indimenticabile.
Lorenzo Fragola, “infinite volte”: voto 5. Il ragazzo ha talento, ma la canzone è davvero una noia mortale.
Noemi, “La borsa di una donna”: voto 6. Lei è leonessa, ma la canzone è insipida.
Dear Jack, “Mezzo respiro”: voto 7. Diventerà un tormentone (purtroppo o per fortuna?).
Caccamo-Iurato, “Via da qui”: voto 7,5. Belle voci, testo notevole (scritto da un poeta, del resto…). Vinceranno loro?
Stadio, “Un giorno mi dirai”: voto 6,5. Bel pezzo, anche ben cantato. Però nessun brivido.
Arisa, “Guardando il cielo”: voto 7. Ci ha abituato a melodie che lasciano il segno, e non è questo il caso. Ma questa canzone rimarrà comunque nel tempo.
Enrico Ruggeri, “Il primo amore non si scorda mai”: voto 7. Bel ritmo, bel testo.
Bluvertigo, “Semplicemente”: voto 6. Pezzo rock con reminiscenze anni 80 interessante, ma difficile e un po’ presuntuoso.
Rocco Hunt, “Wake up”: voto 7. Canzone simpatica e per certi versi ironica. Molto radiofonica. Arriverà lontano.
Irene Fornaciari, “Blu”: voto 5,5. Lei ci mette il cuore, lo so. Ma non arriva nulla lo stesso.
PAGELLE DEI CONDUTTORI
Carlo Conti: voto 8. “Il gran cerimoniere” non ne sbaglia una. Pippo Baudo 2 la vendetta.
Gabriel Garko: voto 5. Non ne azzecca una. Non sa leggere il gobbo elettronico, non sa leggere i foglietti. Non fa ridere. E allora perché è lì? Perché è un manzo? Sì.
Madalina Ghenea: voto 5,5. Carina la barbie.
Virginia Raffaele: voto 9. Irresistibile.
Tony Stallone